Ho sempre pensato che calciopoli sia una una tipica storia italiana, piena di zone oscure e manovre sotterranee poco chiare. Presentato al popolo italiano come il più grande scandalo della storia del pallone, a distanza di cinque anni sta assumendo più le forme del complotto che altro. Enzo Biagi, nel pieno della torrida estate 2006 del calcio italiano, rilasciò al Tirreno un'intervista che per la sua eccezionale lungimiranza merita di essere ricordata. Biagi si era reso conto prima di tutti che c'era qualcosa di molto strano nell'impalcatura di calciopoli e nel feroce accanimento mediatico contro la Juventus e in particolare contro la figura di Luciano Moggi. Un accanimento tale da fargli pensare che fosse stato creato e studiato ad hoc per coprire vicende infinitamente più gravi. Un pensiero davvero coraggioso e audace se consideriamo il momento in cui veniva espresso.
Ci sono in effetti molte cose strane in questa squallida vicenda che ha sconvolto il mondo del calcio nostrano. Ma andiamo per gradi e ricominciamo dall'inizio, dall'estate del 2006.
Quando scoppiò lo scandalo tutte le televisioni e i giornali, sportivi e non, individuarono lo stesso grande capro espiatorio: Luciano Moggi. Dunque pagine su pagine di intercettazione date in pasto al popolino, telefonate anche private messe alla mercé di tutti. Un unico grande obiettivo: inchiodare il mostro. Giornali e televisioni hanno un potere enorme sull'opinione pubblica, soprattutto quando sono tutti coalizzati sulla stessa linea. Non è stato molto difficile far passare il messaggio che Luciano Moggi controllava l'intero sistema del calcio italiano, muovendo tutti come marionette pronte ad inchinarsi di fronte al grande padrone. Ma le prove quali erano? Quali erano i terribili misfatti compiuti dall'allora dg della Juventus? Come poteva Luciano Moggi da Monticiano, di umili origini, essere il grande signore del calcio italiano?
Ecco un elenco delle cose che si dicevano all'epoca in cui scoppiò lo scandalo:
1) Moggi chiamava i designatori;
2) Moggi chiamava gli arbitri;
3) Moggi decideva le griglie arbitrali;
4) Moggi faceva regali ai designatori e nello specifico regalò una Maserati al designatore Pairetto;
5) Moggi rinchiuse l'arbitro Paparesta negli spogliatoi dopo Reggina-Juventus del 6 novembre 2004;
6) Moggi aveva degli arbitri preferiti che sceglieva per le partite più delicate, come De Santis che, essendo legato alla società Gea, riconducibile alla famiglia Moggi, favoriva la Juventus.
7) La prova schiacciante dell'esistenza della cupola sono le schede svizzere che Moggi acquistò e distribuì con lo scopo di creare una rete di comunicazione segreta.
Bene, ora vediamo punto per punto cosa c'è di vero a distanza di cinque anni.
1) Moggi chiamava i designatori.
Vero, ma all'epoca questo non era proibito dal ragolamento e Moggi non era certo l'unico a fare telefonate del genere. Il 27 ottobre 2008 Narducci, allora pm dell'accusa (ora ha lasciato Calciopoli per entrare nella giunta di De Magistris), dichiarò: "Piaccia o non piaccia agli imputati non ci sono mai state telefonate tra Bergamo o Pairetto e il signor Moratti". Peccato che nell'aprile 2010 i legali di Moggi, dopo avere ascoltato una parte delle 171 mila conversazioni intercettate, abbiano fornito le trascrizioni di telefonate tra Moratti e Bergamo e tra Facchetti e Bergamo. Come mai dopo avere intercettato 171 mila telefonate gli inquirenti trascrissero solo quelle che mettevano in cattiva luce Moggi, Giraudo e la Juventus? Come mai le intercettazioni di Moratti, Facchetti e quelle di altre società sono riemerse solo al processo di Napoli, grazie al lavoro dei legali di Moggi? Misteri italiani.
2) Moggi chiamava gli arbitri.
Falso, non c'è una sola intercettazione in cui Moggi chiama un direttore di gara. C'è solo un'intercettazione in cui l'arbitro Paparesta chiama Moggi, e Moggi appare alquanto scocciato della telefonata, tanto da chiudere bruscamente la conversazione.
In compenso ci sono diverse intercettazioni che dimostrano che Meani, all'epoca dirigente del Milan, chiamò più volte direttori di gara e che Facchetti chiamò l'arbitro De Santis. Ancora una volta c'è da chiedersi perché tutto questo sia rimasto nascosto per molto tempo.
3) Moggi decideva le griglie arbitrali.
Falso. I sorteggi arbitrali erano regolari, lo dicono le sentenze dei tribunali di Torino e Roma. Come faceva allora Moggi ad indovinare le griglie arbitrali? Beh, non era molto difficile indovinare le griglie conoscendo i meccanismi delle designazioni. Tanto che a due anni dalla famosa telefonata con Bergamo in cui indovinava per 4/5 la griglia per la 24ª giornata di A, l'ex d.g. juventino ha colpito ancora con un 3/5, compreso Paparesta per Inter-Roma.
4) Moggi faceva regali ai designatori e nello specifico regalò una Maserati al designatore Pairetto.
Vero che faceva regali, falso che regalò una maserati. Quest'ultima voce nasce da una telefonata tra Moggi e Pairetto, nella quale i due parlano della consegna di una Maserati. Ma come ammette lo stesso procuratore Maddalena, l'automobile non era destinata a Pairetto, bensì ad un amico di quest'ultimo, e Moggi chiamò la Fiat solo per accelerare i tempi di consegna.
L'abitudine di fare regali ai designatori comunque non era certo esclusiva di Luciano Moggi, come emerge da un'intercettazione trascritta e fatta uscire ancora una volta dai suoi legali nell'aprile 2010, al Processo di Napoli. Si tratta di una chiamata tra Facchetti e Bergamo nella quale l'allora presidente dell'Inter dice al designatore di passare a casa di Moratti perché "ha un regalino da darti". Senza dimenticare poi ciò che successe nel Natale 1999, quando Franco Sensi, al tempo presidente della Roma, pensò bene di regalare costosissimi Rolex ai due designatori e agli arbitri in attività in quella stagione. Cattive abitudini, ma molto diffuse.
5) Moggi rinchiuse l'arbitro Paparesta negli spogliatoi dopo Reggina-Juventus del 6 novembre 2004.
Altra incredibile falsità diffusa dai mezzi di comunicazione e spacciata come la prova dell'esistenza del mostro. Tutto nasce da una conversazione telefonica tra Moggi e un'altra donna, nella quale Moggi, da grande millantatore quale era, si vanta di aver rinchiuso l'arbitro Paparesta nello spogliatoio e di aver portato le chiavi in aeroporto. Sarà capitato sicuramente anche a molti di voi di parlare al telefono con un amico e di raccontargli un episodio ingigantendo o inventando dei dettagli, per il semplice gusto di sentire la sua reazione, ed è proprio quello che fece Moggi in quella famosa chiamata. Tanto che al Processo di Napoli sia Paparesta, sia l'addetto agli arbitri della Reggina, sia un testimone presente hanno negato il fatto e la cosa è stata già, si fa per dire, archiviata.
6) Moggi aveva degli arbitri preferiti che sceglieva per le partite più delicate, come De Santis che, essendo legato alla società Gea, riconducibile alla famiglia Moggi, favoriva la Juventus.
In questi casi bisogna essere analitici: andiamo a vedere la media punti della Juventus con De Santis e la media punti senza De Santis. Nel 2004/2005 De Santis ha diretto 5 volte la Juventus; la Juve ottenne 2 vittorie, 1 pareggio e 2 sconfitte. Quella stagione la Juventus fece 86 punti, ergo: con De Santis media di 1,4 punti a partita, senza De Santis media di 2,39 punti a partita. Non ci vuole uno scienziato fisico per capire che anche questo argomento d'accusa non regge molto.
7) La prova schiacciante dell'esistenza della cupola sono le schede svizzere che Moggi acquistò e distribuì con lo scopo di creare una rete di comunicazione segreta.
Una prima considerazione da fare è che non è un reato possedere schede svizzere. Queste schede, effettivamente, esistono e Moggi non ne ha mai negato il possesso. Moggi ha dichiarato di avere avuto la sensazione di essere intercettato e di averle usate per evitare uno "spionaggio industriale". Sappiamo bene che Moggi era il re del calciomercato, e chi segue o ha seguito un minimo il calcio sa che l'ex dg della Juventus era molto abile nel riuscire a depistare tutti quelli che cercavano di scoprire le sue mosse. Si capisce bene che se le sue telefonate potevano essere ascoltate, altri avrebbero potuto venire a conoscenza degli affari di mercato che portava avanti. Ecco perché si rifornisce di queste schede, acquistandone nove a Chiasso, nel negozio di Teodosio De Cellis. Detto questo, è vero che due di queste schede Moggi le consegnò ai due designatori arbitrali Bergamo e Pairetto, ma è altrettanto vero che Bergamo utilizzò la scheda per poco, non appena finì il credito: la stragrande maggioranza delle telefonate fra il designatore e l’ex dg avvenne su linee intercettabili. Poi non è affatto vero che queste schede svizzere non sono intercettabili, come dimostra il perito della difesa l’ing. De Falco “Il cellulare è parte della rete, quindi quando lo accendo tutti sanno dove sono. La rete vede il telefonino e se non lo ha nei database chiede al gestore straniero se può dare la linea. Non è segreta per niente. I telefonini sono tutti intercettabili se si conosce il numero del telefonino. Quando c’è una telefonata il gestore non segna solo il numero della sim ma anche il numero del telefonino. Sarebbe stato interessante vedere se questi numeri erano associati anche ad altri numeri cellulari ma non è stato fatto". Inoltre non c'è neanche una prova che Moggi abbia distribuito queste sim agli arbitri, come invece si insinuava quando scoppiò lo scandalo. Per concludere: si è recentemente scoperto che il negozio di Teodosio De Cellis era frequentato anche da altri dirigenti di squadre di calcio, tra cui il direttore tecnico dell'Inter Marco Branca. Smontata dunque anche l'accusa più pesante.
Crolla, sprofonda l'intero impianto accusatorio.
Il processo sportivo del 2006 si svolse in un clima di fortissimo ostracismo nei confronti della Juventus, di fatto già condannata dai media e dall'opinione pubblica prima ancora che dalla giustizia sportiva. E' così che il 14 luglio 2006 arrivò la prima sentenza della Caf (Commissione d'appello federale): Juventus retrocessa in Serie B con 30 punti di penalizzazione (poi ridotti a 9) e revocati due scudetti (stagioni 2004/2005 e 2005/2006). Il 26 luglio Guido Rossi, nominato commissario straordinario della FIGC, completa l'opera, decidendo di assegnare il Titolo di campione d'Italia per la stagione 2005/2006 all'Inter, con la motivazione di "società simbolo di giustizia e onestà". Va ricordato per la cronaca che Guido Rossi è stato per anni un componente del CdA dell'Inter, ma sappiamo bene che in Italia il conflitto di interessi è un concetto piuttosto vago.
Sono passati cinque anni da quella sentenza che sconvolse gli equilibri del calcio italiano, e il contesto è decisamente diverso. Tutto è cambiato nell'aprile 2010, quando nel procedimento penale in corso presso il Tribunale di Napoli, vennero ammesse nuove intercettazioni che avrebbero rivelato, secondo l'imputato Luciano Moggi, l'esistenza di una una fitta rete di contatti tra esponenti dell'Inter e tesserati del settore arbitrale. Alla luce del nuovo materiale probatorio la Juventus presentò il 10 maggio un esposto al CONI, alla FIGC e alla Procura Federale in cui chiedeva la revisione della decisione di assegnare il titolo e pertanto la revoca dello scudetto 2005/2006. Nel luglio 2011, dall'inchiesta condotta dal procuratore federale Stefano Palazzi, è risultato che anche l'Inter ha violato l'articolo dell'illecito sportivo. Dalla relazione di 72 pagine del procuratore federale emerge che anche le condotte messe in atto dai vertici del club nerazzurro hanno violato gli articoli 1 e 6 del vecchio codice di giustizia sportiva, in quanto certamente dirette ad assicurare un vantaggio in classifica mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale (da Wikipedia). I reati però sono prescritti e dunque viene disposta l'archiviazione per quanto riguarda la posizione dell'Inter.
A distanza di cinque anni possiamo dire che l'unica società che ha pagato davvero, e ha pagato un prezzo salatissimo è stata la Juventus. La sentenza del processo sportivo ha profondamente alterato gli equilibri del calcio italiano, cambiandone di fatto la storia recente. L'Inter, da eterna perdente, è diventata la squadra capace di vincere 5 scudetti consecutivi (sebbene il primo della serie lo vinse a tavolino, essendo arrivata terza a -15 dalla Juventus) e la Champions League 2009/2010; la Juventus invece, da squadra Campione d'Italia, da avere una delle rose più forti al mondo, si ritrovò improvvisamente in Serie B, costretta a vendere, e in alcuni casi a svendere, molte delle sue stelle: Cannavaro, Thuram, Zambrotta, Vieira, Emerson, Ibrahimovic se ne andarono tutti in quella estate. Per non parlare dei danni d'immagine ed economici che derivarono dalla condanna.
Sta per iniziare la sesta stagione post calciopoli e la Juventus non è ancora uscita dalle sabbie mobili della ricostruzione. Distruggere è semplice, ricostruire può essere terribilmente difficile. Quando si parla di calciopoli, l'errore è pensare che si parli solo di due scudetti; si parla di molto di più: di un processo, quello sportivo, durato venti giorni, che lascia ancora oggi i suoi effetti ben visibili sul calcio italiano. Quando si parla di calciopoli ci sono in gioco le ultime cinque stagioni.
Alla luce del nuovo materiale probatorio emerso nell'aprile 2010, la Juventus non sarebbe stata condannata ad una pena così dura, si sarebbe relativizzata la sua posizione, non ci sarebbe stata nessuna Serie B, sarebbero rimasti i suoi campioni. In poche parole il suo percorso di successi non si sarebbe bruscamente interrotto. Restano e probabilmente resteranno alcune domande irrisolte: perché gli inquirenti e il Colonnello Auricchio, che pilotò le indagini, trascrissero solo alcune delle 171mila intercettazioni, in particolare quelle che mettevano in cattiva luce Moggi e la Juventus? Perché non vennero trascritte le intercettazioni tra Facchetti, Moratti e i designatori arbitrali e i direttori di gara? Perché tutto questo è rimasto nascosto ed è saltato fuori solo nell'aprile 2010, a distanza di quattro anni dallo scandalo, grazie al paziente lavoro degli avvocati di Moggi?
Calciopoli è una vicenda molto squallida, nella quale ci sono ancora troppe zone d'ombra e domande irrisolte. E' sintomatico, da questo punto di vista, anche il processo di trasformazione attraverso cui è passato il neologismo usato per designare lo scandalo del calcio italiano: nel pieno della tempesta mediatica Oliviero Beha coniò il termine moggiopoli, sul modello di tangentopoli, salvo poi pentirsi e passare ad un più neutrale calciopoli, a sua volta poi ribattezzato da molti farsopoli. Tutto ciò è una conseguenza del modo poco chiaro in cui sono state condotte le indagini e del modo altrettanto poco chiaro in cui è stata gestita l'intera vicenda.
Mi sa che ancora una volta aveva ragione il grande e compianto Enzo Biagi, quando in quella famosa intervista al Tirreno dell'agosto 2006, disse: "Vuoi vedere che per coprire uno scandalo di dimensioni ciclopiche hanno individuato in Luciano Moggi il cattivo da dare in pasto al popolino?".
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