giovedì 29 dicembre 2011

Dietro le parole di Del Piero

Oggi si è tenuta la terza edizione del "Globe Soccer", la rassegna che ogni anno riunisce a Dubai il meglio del calcio mondiale. Durante la conferenza stampa che ha preceduto la consegna dei premi, Del Piero - che ha ritirato l'oscar alla carriera - ha stupito molti pronunciando queste parole: «Giocherò ancora dieci anni, non sono mai stato così bene e così in forma. Non penso al futuro ma a fare il mio mestiere, proprio per questo non coltivo altre intenzioni».
Se prendessimo alla lettera queste dichiarazioni, certo che dovremmo stupirci! Del Piero ha oggi 37 anni, e stando alle sue parole, dovrebbe giocare fino a 47 anni. Cosa che ovviamente non succederà, ed è lui per primo a saperlo. Non è la prima volta, nell'ultimo periodo, che Del Piero rilascia dichiarazioni di questo tipo: anche in occasione della sponsorizzazione di un nuovo modello di scarpetta tecnologica - qualche settimana fa - Del Piero non mancò di dire che avrebbe giocato ancora a lungo. E infatti, salvo inaspettati cambiamenti di programma, dovremmo vederlo su un campo da calcio fino a 40 anni o quasi. Con buona pace dei critici.
Probabilmente però dietro le parole di Del Piero c'è anche un messaggio alla dirigenza bianconera, e in particolare una risposta indiretta (ma neanche tanto indiretta) ad Agnelli, che lo scorso ottobre lo aveva di fatto mandato in pensione anticipata, annunciando davanti all'assemblea degli azionisti che questa sarebbe stata la sua ultima stagione alla Juventus. Come ha detto oggi Tacchinardi intervenendo a "Radio Sportiva": «Non credo che Del Piero voglia giocare ancora dieci anni. Ma fa bene a parlare così. Leggo le sue parole come un messaggio: "Io ci sono, voglio rimanere ancora alla Juve, sono integro e sano"». Per poi aggiungere: «Mezz'ora-un tempo Alex ha ancora la forza per starci, non sono solo parole. Un Del Piero in queste condizioni può ancora far comodo al nostro campionato, sarebbe un peccato se andasse a giocare in America come si dice». Parole molto condivisibili.
L'esperienza, il carisma, ma anche la disciplina, il rispetto delle regole che non è mai mancato, oltre all'integrità fisica e alla voglia che ancora oggi ha Del Piero dovrebbero spingere Agnelli a tornare intelligentemente sui suoi passi. In Inghilterra, il 38enne Ryan Giggs, storico centrocampista del Manch.Utd, sta per rinnovare il suo contratto con i Red Devils fino al giugno 2013. A volte si deve saper guardare oltre i dati anagrafici.

venerdì 23 dicembre 2011

Se lo dice l'investigatore...

Oggi il Corriere dello Sport ha pubblicato un'intervista/confessione di un investigatore della squadra di Auricchio che condusse le indagini su Calciopoli. Finalmente emergono delle rivelazioni/ammissioni importanti da parte di chi quelle indagini le ha fatte: «Troppi buchi nelle intercettazioni, è stata una cosa forzata: non abbiamo mai scoperto una vera partita truccata. Le condanne non stanno in piedi». Consiglio vivamente a tutti coloro che sono interessati all'argomento di leggere questa intervista/confessione (la trovate qui sotto oppure cliccate qui per leggere direttamente dalle pagine del Corriere), perché si capiscono molte cose. Adesso tutti devono aprire gli occhi su Calciopoli. Nessuno può continuare a credere alla favoletta che ci hanno raccontato nel 2006.
Buona lettura.


ROMA - Parla uno degli uomini di Calciopoli. Parla, racconta, descrive pagine di un libro inedito, svelandoci le “sue” verità. L'idea è che le sue rivelazioni non siano solo un sasso nello stagno ma uno stimolo al dibattito. E su queste colonne chi vuole e vorrà rispondere troverà uguale ospitalità. Intanto, il nostro interlocutore parla (ci dice) per liberarsi da un peso, per sperare che la “sua” verità possa diventare verità storica. Un appuntamento mancato nei dintorni di Firenze, l’attesa attorno all’ora di pranzo, un hotel a fare da coreografia. Viene o non viene? No, non verrà, un contrattempo, all’ultimo momento, perché succede così anche nei film che fanno botteghino. Ma è una parentesi, che si chiude qualche giorno dopo, nel cuore di Roma, un ufficio con vista fra la cupola di San Pietro e il Tevere, mentre intorno brillano le luci di Natale. Si comincia che il sereno del cielo sta per farsi azzurro, si finisce che è notte ed il freddo è tornato pungente. Parla, uno degli uomini di Calciopoli. Non uno qualsiasi, però. Ma uno che, in quell’inchiesta, stava dall’altra parte, dalla parte di chi, quelle indagini, le ha fatte. Un investigatore. Ci qualifichiamo, i documenti sul tavolo, non per mancanza di fiducia, ma per garanzia reciproca. Chiede che il suo nome non venga svelato sul giornale. E poi racconta....

Calciopoli, definito il più grande scandalo del calcio mondiale, nasce da quale inchiesta?
«La cosa degli arbitri, l’inchiesta che stava a Napoli. Da lì poi parte un supplemento di indagini, perchè a Torino avevano archiviato e mandato gli atti... Da questo hanno preso spunto e da lì sono partite varie intercettazioni, all'inizio erano due telefoni controllati, telefonino e telefono di casa...».

Da due telefoni a oltre centosettantamila intercettazioni?
«Si allarga il giro con le telefonate: questo conosceva quello, quello conosceva quell'altro e si iniziano a mettere tutti i telefoni sotto controllo. In un momento uscivano venti numeri di telefono nuovi. Parlavano, parlavano... Parlavano di stupidaggini alla fine, niente di che... Fino a quando si è arrivati a Moggi. Anche se, quando senti il sonoro, quello scherza, quell'altro fa il fenomeno...». 

Lei ascoltava le telefonate?
«Si, sentivo le intercettazioni».

Quanti eravate?
«Dodici, ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, in via in Selci. Ma non pensate alle bobine di una volta. Ci sono computer, entri con la password...e ognuno seguiva una singola utenza.. Poi alla fine si faceva una riunione, io ho seguito questo, ho seguito quell'altro e si faceva resoconto».

Ci spieghi una cosa: come mai le telefonate che riguardavano l’Inter non sono entrate nell’inchiesta? Eppure il loro tenore non era diverso da quelle che abbiamo letto, dal 2006 ad oggi...
«Noi facevamo i baffetti: dopo ogni telefonata usavamo il verde se le conversazioni erano ininfluenti, l’arancione se c'era qualche cosettina. Col rosso parlavano di calcio (nel senso, cose che potevano interessare all’inchiesta, ndr). Noi facevamo un rapido riassunto, un brogliaccio. Ogni telefonata aveva il suo brogliaccio, nome cognome e di cosa parlavano, se era interessante.. C'era una cartellina con il nome».

Ha mai intercettato una telefonata dell’Inter? Le ha mai sentite? Sapeva che c’erano?
«Che ci stavano sì, ma io personalmente no. Io facevo altro...».

Ma lei ha mai sentito Bergamo, ad esempio, che parlava con Facchetti. O con Moratti.
«Tu non è che fai sempre gli stessi... Se capita che non ci sei, c'è un altro che ascolta».

Una giornata a sentire le intercettazioni, a mettere i baffetti e scrivere i brogliacci. E poi?
«Tutte le sere si facevano le riunioni a fine servizio. Attorno ad un tavolo».

Ha mai avuto la sensazione di “tagli”?
«No. Che poi c'erano Auricchio (il tenente colonnello del Nucleo Investigativo dei Carabinieri, ndr) e Di Laroni (maresciallo capo dei Carabinieri) che decidevano cosa mettere o non mettere nell'informativa è un altro discorso. Ma durante le riunioni no».

Però alcune intercettazioni non sono finite nell’inchiesta, nelle indagini. Un’anomalia?
«C’erano perché ci sono le registrazioni. La cosa un po’ anomala è il server delle intercettazioni. E’ in Procura, a Roma, a Piazzale Clodio. Quando c’era qualche problema, e capitava spesso, telefonavamo a chi era in Procura: “Guarda, la postazione 15 qui non funziona, che è successo?” “Vabbé adesso controllo....”. Dopo un po’ richiamavano da Piazzale Clodio: “Ti ho ridato la linea, vedi un po’”. Andavi a controllare, magari avevi finito alla telefonata 250 e ti ritrovavi alla telefonata 280. E le altre 30? “Me le so perse...”».

Chi contattava il responsabile del server a Piazzale Clodio?
«Non ci parlavamo solo noi, c’era anche il responsabile della sala. Ci parlava Auricchio, ci parlava Di Laroni...».

E’ tecnicamente possibile non intercettare un’utenza sotto controllo per un determinato periodo di tempo?
«Tranquillamente. Tu stacchi il server e la cosa si perde».

Torniamo alle telefonate alle quali avevate messo i baffetti rossi: non sono finite nell’inchiesta.
«Evidentemente non ci dovevano andare, che devo dire.... Non lo so questo. So soltanto che quello che veniva fatto, veniva fatto per costruire. Poi io ti porto il materiale, t’ho portato il mattone ma se tu non ce lo metti, sto mattone..».

Vi hanno detto che l’indagine doveva essere fatta su Moggi, Bergamo, Pairetto, eccetera?
«No, no. Noi eravamo liberi».

Quindi il lavoro di scrematura veniva fatto dopo?
«Sì, nella seconda fase».

Avete mai intercettato le sim estere? Quelle del gestore svizzero, per capirci.
«Quando vai ad intercettare una scheda straniera, in questo caso Svizzera, devi chiedere l’autorizzazione. E loro che cosa hanno fatto? L’hanno chiesta ma, nello stesso tempo, hanno già attaccato il telefono. Ma a quel telefono non parlavano. In quindici giorni, questa scheda, non ha fatto niente».

Di chi era la scheda?
«Di Luciano Moggi»

Non la usava?
«Non faceva niente, telefono muto. E’ come se tu metti sotto (controllo, ndr) questo telefono (e indica il suo, ndr) e poi questo è spento per un mese. Zero. E quindi questa cosa delle schede è stata un po’ accantonata perché poi l’autorizzazione non te la dava nessuno».

Si parlava di anomalie.
«Nel corso di questa indagine sono nate delle cose che inizialmente non c’erano, mentre cose che inizialmente c’erano, non ci stanno più».

Cioè?
«Un esempio di quello che non c’era e si è materializzato nel giro di poco tempo: Martino Manfredi (ex segretario della Can A-B, ndr). Quando l’abbiamo portato in ufficio era morto, era un cadavere, tremava, aveva paura... Diceva: “io non so niente, non ‘è successo niente, ma quando mai... “. E piangeva sul fatto del posto di lavoro... “come faccio... non posso lavorare più, mi devo sposare...”. Dopo un po’ di tempo, sto Martino un giorno è andato a lavorare in Federcalcio.... quando lui ha cominciato ad essere interrogato.... improvvisamente è uscita la storia delle palline. Quella è la cosa che io dico: è lecito e capibile da parte sua, un po’ meno da.... ».

Si può definire un pentito?
«Non lo so. Prima non sapeva niente, poi sapeva tutto, sapeva di questo, di quell’altro, di Pairetto, della Fazi...».

Lei ha detto: cose che inizialmente c’erano, non ci stanno più. Cioè?
«La storia dell’intercettazione ambientale a Villa La Massa, vicino Firenze».

E’ il pranzo che secondo l’accusa rappresenta l’architrave del patto per salvare la Fiorentina. Andrea e Diego Della Valle da una parte, Mazzini e Bergamo dall’altra. Bene, e cosa non c’è più?
«Di questo incontro si è saputo nell’arco di 4, 5 giorni, attraverso le intercettazioni. Il servizio era organizzato con telecamera e microfono direzionale. Se la cosa fosse stata fatta in un locale dove c’era gente e avendolo saputo «Scoppiò una lite tra capi: uno voleva chiudere il caso l’altro no e si andò avanti»un po’ prima, si potevano mettere microspie dappertutto. Invece così, in pochissimo tempo, e non a Roma ma a Firenze, era difficoltoso. Con il microfono direzionale, a cinquanta, cento metri, senti quello che uno dice. E lo filmi con la telecamera. Però sta voce non s’è mai sentita.... Io so che l’hanno sentita... Questa cosa è importante perché là io so che non hanno parlato di niente. Questi qui hanno parlato ma non hanno detto niente di.... Magari pensi che Della Valle abbia detto a Mazzini: “Dai, famme vince, mandami quest’arbitro”, che sarebbe stata una cosa penalmente rilevante. Invece, non hanno detto niente. Ci sono le immagini, Diego e Andrea che scendono dal furgoncino, che si sono incontrati con Bergamo. Hanno dato più rilevanza a questo che non facendo sentire l’audio».

Secondo lei, quindi, l’audio c’è?
«Non secondo me. L’audio c’è».

Sicuro?
«Sicuro».

La difesa della Fiorentina, durante il processo, ha puntato proprio sulla presunta esistenza di quest’audio...
«La Fiorentina evidentemente qualcosa ha saputo... E’ come il fatto del “Libro nero” (dell’Espresso, ndr), cioè, sto libro nero da là è uscito, non è un foglio, è tutta l’informativa e qualcuno l’ha data all’Espresso. Quindi i buchi ci stanno. Della Valle qualcosa sa».

Come funziona un’intercettazione ambientale con il microfono direzionale?
«E’ una valigetta, c’è un microfono che somiglia ad una specie di pistola con una parabola. La punti verso il soggetto....Ma da quel giorno non s’è saputo più nulla di questa cosa qua...».

Ricorda altre situazioni poco chiare?
«No, a queste ho sempre pensato. E mi dico: perché uno deve passare i guai, per che cosa? E quell’altro, perché deve andare dentro? Moralmente ti pesa, dopo un po’ ti dici: mamma mia».

Tra quelli che sono stati condannati in primo grado, quali sono quelli che pagano troppo o ingiustamente?
«Io dico la verità, la maggior parte. Cioè, è una cosa fatta, forzata un po’, ci stava la telefonata, però se vai a vedere effettivamente le partite, partite veramente truccate, dove l’arbitro è stato veramente coinvolto. Non ci sono. Non c’è la partita dove si dice: adesso li abbiamo beccati. Si era parlato di questo è Lecce-Parma, di De Santis, quella di “mi sono messo in mezzo”. E’ una spacconeria, quello voleva fare il fenomeno».

Sì, ma sono state condannate tante persone. Lei, invece, parla di spacconate: qualcosa non torna...
«Secondo me, di veramente importante, che uno deve prendere cinque anni, sei anni, non ci sta niente. Poi magari pensi all’eccessivo modo spavaldo di Moggi che può dare anche fastidio, questo ci può stare, quello è il periodo in cui era prepotente, arrogante. Ma da lì ad arrivare a.... Bisognava dimostrare che c’era un’associazione. Lui, solo lui (Moggi, ndr) fa l’associazione? Così è un’altra cosa... E’ una questione di prestigio, di carriera».

Ma l’hanno fatta tutti, la carriera?
«Mica tanto: Auricchio e Arcangioli stanno alle scuole.... non è che so stati proprio premiati....Uno alla scuola Ufficiali, uno alla scuola Allievi...».

Non ricorda niente altro di particolare. Non necessariamente di anomalo. Magari anche solo di curioso.
«Mi hanno raccontato di alcune cenette: Auricchio, Arcangioli, Narducci, anche altri personaggi che hanno segnato quel periodo di Calciopoli. In qualche caso, mi sono chiesto che importanza poteva avere andare a mangiare con Narducci. Sono andati a cena a Napoli, di fronte al Vesuvio, a Castel dell’Ovo... da Zi’ Teresa. E non c’erano solo gli investigatori».

Ha detto che non c’era nulla di penalmente rilevante: c’è stato qualcuno che, ad un certo punto, ha avuto dubbi sul peso dell’indagine, sulla necessità di continuare ad andare avanti?
«Sì, Arcangioli. Disse: basta. E lì è nato lo scontro con Auricchio, arrivarono ai ferri corti».

Quindi voleva stoppare l’indagine perché debole?
«Sì, Arcangioli sì. Erano impegnate quindici, venti persone per questa cosa qua. E l’autista; e quello che deve andare di continuo a Napoli. Non era cosa... In una sezione di sessanta persone, ne levi quindici, le altre fanno tutto il lavoro».

Qualche pentito c’è stato?
«No».

In via in Selci (è la sede del Nucleo Investigativo dei Carabinieri), dove si sono svolti gli interrogatori, sarebbero successe due cose: una che Moggi si mise a piangere e l’altra che l’ex arbitro Paparesta accusò un malore: verità o leggenda?
«Non è vero».
Edmondo Pinna

E questa sarebbe Piazza Pulita?

Stasera mi è capitato di vedere l'ultima parte di Piazza Pulita, programma in onda su La7 condotto da Corrado Formigli. C'erano ospiti, tra gli altri, Oliviero Beha, Vittorio Feltri e Luciano Moggi. Si parlava di calcioscommesse e più in generale di scandali nel calcio. Un classico calderone televisivo nel quale Formigli si è mosso con scarso successo, passando dall'ultimo scandalo scommesse a calciopoli, da Cristiano Doni a Luciano Moggi senza nessun sensato passaggio logico, se non quello di mettere tutti sullo stesso piano: il piano dei colpevoli.
A un certo punto Formigli, che era evidentemente poco preparato in materia, ha mandato un pezzo di un documentario-fiction su calciopoli (costruito sulla tesi dell'accusa) che La7 produsse un paio d'anni fa. Tesi vecchie stravecchie di accusa contro Moggi: addirittura si è riparlato della storia - ormai da un pezzo diventata leggenda - dell'arbitro Paparesta chiuso negli spogliatoi, e sono state rispolverate intercettazioni Moggi-Biscardi. Per un attimo ho pensato di essere tornato all'estate 2006. Sicuramente Corrado Formigli non si è più aggiornato sull'argomento da allora. Ascoltando la trasmissione ho sentito un certo disagio, gli applausi a favore di Formigli sono stati imbarazzanti, come il clima che c'era in studio. Tanti ospiti, tante banalità, nessuna sostanza. Beha a un certo punto stava facendo un discorso interessante su calciopoli ed è stato subito interrotto dal conduttore che ha riportato la trasmissione nel grigio più cupo. Moggi, in collegamento, si stava difendendo dalle vecchie, ormai scontate accuse e quasi gli veniva tolta la parola. Altro che Piazza Pulita.

P.S. Il commento è riferito solo a quello che ho visto stasera, anche perché era la prima volta che guardavo questa trasmissione.

sabato 17 dicembre 2011

Lo strano destino del tavolo della (non) pace

Calciopoli è una vicenda che fa acqua da tutte le parti e che ha prodotto troppi effetti negativi per poter essere superata con le semplici parole e le buone intenzioni. Soltanto i giudici e i tribunali possono far voltare pagina al calcio italiano. Ma anche dopo le sentenze definitive resteranno a lungo veleni e vecchi rancori.

Alla fine il tavolo della pace è miseramente fallito. Nessuna pace e nessuna tregua, tutto andrà avanti come prima. Come ha ammesso lo stesso presidente del Coni Petrucci: «Passi in avanti non ce ne sono stati: la buona volontà non è stata premiata».
Cosa si siano detti con precisione i nove presenti al tavolo non è dato saperlo. Si sa però - lo ha svelato Ruggiero Palombo sulla Gazzetta dello Sport - che a un certo punto Petrucci ha tirato fuori un documento da far firmare alle parti. Un comunicato che, se firmato, avrebbe rappresentato un passo decisivo in direzione della pace. Secondo Tuttosport la parte più significativa di tale documento recita così: «...Convinti che il fenomeno chiamato Calciopoli - contraddistinto da comportamenti deliberati o solo indotti dal clima di quel periodo e a prescindere dalle sentenze e dalle decisioni sin qui assunte dagli organi competenti - rappresenta nel suo insieme il periodo più oscuro nella storia del calcio italiano considerato che gli stessi organi federali di allora seguirono le logiche condizionate dal momento, adottando in qualche caso provvedimenti che in circostanze diverse e con analisi più complete e approfondite, avrebbero potuto avere forme e contenuti differenti».
Il documento ovviamente non è stato firmato da nessuno ed è diventato carta straccia. Se è infatti vero che tra le righe si può leggere una prima parziale ammissione da parte del Coni degli errori commessi dalla Figc nell'estate 2006, è anche vero che il linguaggio in cui è stato scritto rientra in pieno nel politichese, come non ha mancato di sottolineare il patron della Fiorentina Diego Della Valle. Il quale è stato il più fermo ed intransigente nel voler fare chiarezza su ciò che accadde davvero nell'estate 2006 e nel chiedere una revisione degli eventi per portare a galla la verità. Durante il tavolo avrebbe detto a Petrucci: «Noi vogliamo sapere perché siamo finiti in Calciopoli. Chiuderemo questa storia quando verranno riconosciute le nostre ragioni». E oggi Della Valle è passato dalle parole ai fatti, denunciando l'allora commissario straordinario della Figc Guido Rossi: «Ho conferito mandato ai miei legali di agire, nelle sedi competenti, nei confronti dell'allora Commissario Federale Guido Rossi e di altri per la gestione assunta dagli stessi durante il processo sportivo di Calciopoli celebrato nell'estate 2006. Le azioni legali - si legge nella nota - verranno avviate per censurare i comportamenti assunti dagli stessi nella gestione del processo sportivo». Non c'è dubbio che, almeno in questa fase, la posizione dei Della Valle e della Fiorentina su calciopoli è quella più chiara e coerente.

Restano poi alcune domande su questo tavolo della pace. Cosa ci faceva il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis? Ai tempi di calciopoli il Napoli era in serie C, e la società partenopea non venne neanche sfiorata dallo scandalo. La Stampa riporta che lo stesso De Laurentiis, dopo avere osservato il suo scarso coinvolgimento nel dibattito, si sarebbe lasciato sfuggire la frase: «Ma cosa ci sto a fare io...». Allora perché invitarlo? Perché non far sedere invece al tavolo Guido Rossi, commissario straordinario della Figc durante calciopoli e responsabile di scelte pesantissime, come quella di riassegnare lo scudetto 2005/2006 all'Inter (con la motivazione, ormai diventata una barzelletta alla luce delle nuove intercettazioni, di società simbolo di giustizia e onestà)? In sostanza: con quale criterio il Coni ha scelto gli invitati?
Doveva produrre una pace ma ha finito per produrre nuove domande. Strano destino quello del tavolo della (non) pace.

martedì 13 dicembre 2011

Grazie Luciano!


Sono davvero contento e stupito di aver visto citato questo blog nell'articolo di Luciano Moggi pubblicato oggi su Libero. Grazie Luciano!

Chi volesse leggere l'articolo in questione compri Libero di oggi, oppure clicchi qui.

domenica 11 dicembre 2011

Tavolo della pace o via di fuga?

Il tanto atteso "tavolo della pace" - come è già stato battezzato, forse prematuramente o forse no, dalla stampa sportiva - si sta avvicinando. L'incontro si terrà mercoledì prossimo ed è stato fortemente voluto dal presidente del Coni, Gianni Petrucci. Su invito del Coni stesso, si siederanno davanti al tavolo i principali protagonisti di Calciopoli: oltre a Petrucci stesso, ci saranno Pagnozzi (segretario generale del Coni), Abete (presidente della Figc), Andrea Agnelli (presidente della Juventus), Moratti (presidente dell'Inter), Diego Della Valle (presidente della Fiorentina), Galliani (amministratore delegato del Milan), De Laurentiis (presidente del Napoli) e Valentini (direttore generale della Figc). Obiettivo del tavolo: trovare un punto d'intesa per superare definitivamente calciopoli. Sono passati più di cinque anni dall'estate 2006, ma le polemiche non accennano a placarsi e il tavolo si è posto la mission impossible di azzerare tutto e far ripartire il sistema. E' scontato dire che le intenzioni sono lodevoli, ma con quali mezzi il Coni pensa di raggiungerle? Il dialogo, le semplici parole possono chiudere questa vicenda così complessa?

Guardiamo il tavolo da una prospettiva particolare, quella del presidente Agnelli. Cosa pensa o spera di ottenere Agnelli il 14 dicembre? Perché ha accettato senza la minima esitazione la proposta del presidente del Coni Petrucci? Quando nell'aprile 2010 Agnelli diventò presidente al posto di Blanc, la Juventus sembrò cambiare drasticamente strategia su calciopoli. Sembrava, anche perché Agnelli lo diceva a chiare lettere, che la Juventus avesse alla fine deciso, con una ritardo di quattro anni, di iniziare a difendere se stessa dalle pesantissime accuse che le furono rivolte nel 2006. Tuttavia, oggi possiamo dire che queste impressioni erano probabilmente sbagliate e che probabilmente quelle di Agnelli erano solo dichiarazioni volutamente ostentate da dare in pasto agli ultras bianconeri, affamati di prendersi le loro rivincite dopo gli anni horribilis post calciopoli. Ci sono in effetti molte cose che non tornano nelle scelte difensive della Juventus di Agnelli.
Prima considerazione. Perché la Juventus ha scaricato Luciano Moggi (ma poi non lo aveva già scaricato?, che bisogno c'era di ribadire il concetto?) con quel comunicato sul proprio sito ufficiale, pubblicato immediatamente dopo la sentenza di primo grado al Processo di Napoli? Aldilà dei buoni propositi - come quello di riavere almeno uno di quei due scudetti - come pensa Andrea Agnelli di raggiungerli se non cercando di risollevare la posizione di Luciano Moggi, principale imputato ed ex dipendente della Juventus? Il processo di secondo grado potrebbe ribaltare la prima sentenza - gli elementi per questo capovolgimento ci sono - ma Moggi avrebbe bisogno di trovare un alleato forte come la Juventus. Ma a quanto pare Agnelli e suo cugino Jaki non hanno alcuna intenzione di schierarsi con l'ex ferroviere di Civitavecchia. Perché?
Seconda considerazione. La stessa scelta di Andrea Agnelli di sedere al tavolo della pace è francamente difficile da capire, se pensiamo che solo qualche settimana fa la Juventus ha chiesto oltre 400 milioni di danni all'Inter e alla Figc per i comportamenti nelle vicende di Calciopoli dal 2006 al 2011. Figc e Inter che saranno ovviamente presenti e protagoniste al tavolo della pace. Non sembrano queste le migliori condizioni per intavolare una trattativa di pace, e neanche per iniziare una tregua. A meno che...

A meno che le parti in causa non siano disposte a cedere davvero qualcosa e a venirsi incontro. Dubito che queste concessioni possano arrivare da Moratti, che è sempre stato molto rigido sulla sua posizione di "uomo perbene", che non deve chiedere scusa a nessuno, perché è lui la vera vittima di tutta questa vicenda. Impossibile immaginare che Moratti sia disposto a restituire lo scudetto di cartone. Stesso discorso per la Figc, che non ha mai ammesso e mai ammetterà - salvo clamorosi sviluppi - che quel processo sportivo dell'estate 2006  fu un processo sommario. Mai ammetterà - direbbe Mughini - che nel 2006 trionfò il bar dello sport.
Molto più probabile che sia lo stesso Agnelli ad addolcire i toni e a spingere per trovare un punto d'intesa. Spesso ci si dimentica che Agnelli è il presidente ma non la proprietà, e che chi decide in fondo è la proprietà, vale a dire chi mette i soldi. Forse tutti i buoni propositi di Agnelli erano solo un bluff, e forse il tavolo della pace è un occasione per venire fuori da questa finzione nel modo meno appariscente possibile. Poco importa se la Juventus uscirà a mani vuote. E' un tavolo della pace ma forse è una via di fuga. Mercoledì sapremo.

martedì 6 dicembre 2011

Il ritorno della Juve fa bene al calcio italiano


Non è un caso che il calcio italiano stia rialzando la testa proprio nel momento in cui la Juventus sta finalmente ritrovando se stessa. E' inutile nascondersi che dopo la vittoria del mondiale 2006 l'intero movimento calcistico italiano ha vissuto un momento molto difficile, non tanto dal punto di vista dei risultati delle squadre di club, quanto dal punto di vista della crescita di una nuova generazione di talenti nostrani. Dopo la generazione d'oro dei Maldini, Cannavaro, Totti, Del Piero, Montella, Vieri, Inzaghi (e chi più ne ha più ne metta) l'Italia del calcio ha smesso di produrre giocatori all'altezza. Una frenata brusca, difficile da spiegare e sicuramente non riducibile a una sola causa.
Quello che si può notare però è che la grande crisi del movimento calcistico italiano è coincisa con la crisi nera della Juventus post calciopoli. E non è certo una coincidenza casuale, se pensiamo che la Juve, per tradizione e storia, è sempre stata una squadra con una forte identità italiana, e che ha sempre dato moltissimi giocatori alla nostra nazionale. Per la famiglia Agnelli la Juve era un pezzo del Paese, e un'immagine dell'Italia nel mondo da valorizzare a tutti i costi. Certo, alla Juve sono passati e hanno fatto la storia anche grandi campioni stranieri, da Sivori e Charles, a Platini, Nedved e Trezeguet. Ma ogni squadra vincente aveva sempre un'anima italiana. E così, anche oggi, la Juve ha iniziato un nuovo progetto basato sulla valorizzazione del prodotto nostrano. Il ritorno di Buffon, l'esplosione definitiva di Barzagli, il rilancio di Pirlo, la crescita esponenziale di Marchisio e Matri stanno ricaricando la Juve e il calcio italiano. D'altronde la storia della Juventus è sempre stata vicina e intrecciata a quella dell'Italia. Marotta e Agnelli hanno fatto bene a proseguire questo percorso, e anche i risultati parlano chiaro.
Adesso che quel ciclo si è chiuso possiamo dirlo: gli anni post calciopoli sono stati dominati dall'Inter. Quell'era si è chiusa il 22 maggio 2010, quando l'Inter ha alzato la Coppa dalle grandi orecchie al Bernabéu, nell'ultima partita del biennio Mourinho. In quella partita l'Inter non aveva un solo giocatore italiano in campo. Certo, era un'ottima squadra con un grandissimo allenatore. Ma non dava niente al calcio italiano. Ecco perché il ritorno della Juve è un bene per tutti.

mercoledì 30 novembre 2011

700 presenza in 3 minuti


Quando all'88esimo minuto di Napoli-Juventus Conte ha fatto entrare Quagliarella per Matri ho pensato che finalmente il nostro allenatore aveva capito che non si può far entrare Del Piero negli ultimi cinque minuti (come aveva fatto col Genoa qualche settimana fa).
Ma due minuti dopo, quando la partita era già entrata nei tre minuti di recupero assegnati da Tagliavento, mi sono dovuto ricredere, purtroppo. Le telecamere di Sky hanno inquadrato Del Piero a bordocampo pronto ad entrare al posto di Vucinic in quello che rimaneva dei tre (3!) minuti di recupero.

Ho sentito dire che Conte lo ha fatto perché ha così tanta stima verso Del Piero da credere che possa segnare anche con 180 secondi a disposizione. E l'ho sentito dire a più persone, purtroppo. Ma questi discorsi, permettetemi di dirlo, rientrano nel genere "stronzate". Se Conte avesse così tanta considerazione delle capacità di Del Piero lo avrebbe messo almeno quindici minuti prima. Noto un sacco di ipocrisia in questo momento sulla Juventus, da parte di giornalisti, opinionisti e tifosi stessi. Tutti adesso osannano Conte e la società, fanno la gara a chi fa il complimento migliore. Quei pochi che rivolgono la minima critica a Conte vengono immediatamente messi a tacere. E' una roba fastidiosa. Conte sta facendo un lavoro eccezionale, nessuno lo mette in dubbio (ho già sottolineato i suoi grandi meriti nel precedente post). Ma questo non significa che sia immune da ogni critica.
I tre minuti concessi ieri sera a Del Piero sono uno sgarbo gratuito al giocatore e alla sua storia. Non veniamoci a raccontare la storiella che i giocatori sono tutti uguali, perché appunto è solo una storiella. Del Piero è la Juventus, e ci deve essere un riguardo e una sensibilità maggiore nei suoi confronti. Sono il primo a capire che il nuovo modulo rende difficile l'ingresso del capitano, e capisco le scelte di Conte. Non discuto questo. Ma perché fare entrare un giocatore come lui nei minuti di recupero? Vucinic poteva tranquillamente giocare quei tre minuti e non ci sarebbero stati problemi. Del Piero è un signore e non farà mai polemiche pubbliche su questo. Ma così non va bene.
Per la cronaca, con i tre minuti di ieri Del Piero ha toccato la 700esima presenza da professionista con maglie da club.

domenica 27 novembre 2011

La Juve ha ritrovato l'anima


Uso le parole di Del Piero: "Soffro ma questa è una grande Juve". Complimenti a Conte, complimenti ai ragazzi che corrono come dei matti e danno tutto per 90 minuti più recupero. L'anno scorso dopo una sconfitta fuori casa col Lecce dissi che non volevo più vedere una squadra che giocava in quel modo. Senza cuore, senza voglia, senza grinta, senza nulla. A fine partita i giocatore potevano anche non farsi la doccia, perché non avevano sudato. Quest'anno nessuno può lamentarsi di questo. Tutti sputano il sangue per la Juventus, finalmente. Se c'è una cosa che da tifoso non tollero, è vedere i giocatori che non dimostrano attaccamento alla maglia. E' una mancanza di rispetto che non accetto, perché vestire la maglia della Juventus è una fortuna che in molti vorrebbero avere e chi viene alla Juve deve sapere cos'è la Juve. Si può sbagliare una partita, si possono vivere periodi difficili, si possono incontrare difficoltà. Questo è normale. Ma l'impegno e l'attaccamento alla maglia non devono mai mancare. E se la Juve oggi ha ritrovato un'anima, se finalmente i giocatori hanno capito cosa significa vestire la maglia bianconera, molti meriti vanno dati ad Antonio Conte.

L'unica cosa che mi rattrista è vedere così poco Del Piero. Questo modulo non lo favorisce, così come non lo favorisce il fatto che la Juve gioca solo una partita a settimana. Mi dispiace vederlo così poco, perché so che potrebbe darci ancora molto. Spero solo che abbia qualche opportunità per dimostrarlo. Lui resta il nostro Capitano, e su questo non ci devono essere dubbi.

sabato 19 novembre 2011

Cosa vuole la Juve?

Qual è la strategia difensiva della Juventus su calciopoli? La Juventus vuole davvero uscire pulita da calciopoli? Come può pensare di uscirne pulita senza difendere Luciano Moggi, principale imputato del processo, nonché proprio (ex) dipendente? Come può pensare di uscirne pulita accettando la condanna di Luciano Moggi? E ancora: come può la Juventus sostenere di essere lei stessa vittima dei comportamenti fraudolenti del proprio ex dipendente Luciano Moggi? Ammettendo pure - cosa a cui non credo neanche un po' - che Luciano Moggi sia davvero colpevole, Luciano Moggi non lavorava per la Juventus? Ogni azienda è responsabile delle azioni dei propri dipendenti, a maggior ragione se il dipendente in questione era dirigente principale di quell'azienda, e allora perché? Perché la Juventus non allinea la propria linea difensiva a quella di Luciano Moggi?
Ci sono tutti gli elementi per ribaltare la sentenza di primo grado, ma Moggi da solo non può abbattere un sistema che lo vuole fuori dai giochi, capro espiatorio, vittima unica. Perché la Juventus non combatte a fianco di Luciano Moggi? Perché ci sta prendendo in giro?

martedì 8 novembre 2011

Calciopoli atto primo, lo squallore continua


Si è concluso il processo di primo grado a Calciopoli, con 18 condanne e 8 assoluzioni. Ecco le principali sentenze di primo grado: condannato Moggi a 5 anni e 4 mesi per associazione a delinquere, insieme a Bergamo (3 anni e 8 mesi) e Mazzini (2 anni e 2 mesi). Condanne per "frode sportiva" anche per i Della Valle e Lotito.

Aspetto con ansia di leggere le motivazioni di queste sentenze, che trovo difficili anche solo da commentare.
Nel frattempo mi rileggo quello che scrisse ormai più di cinque anni fa Enzo Biagi, dalle colonne del Tirreno, poco prima di morire. Era il 16 agosto 2006, e Biagi commentava così la sentenza del processo sportivo conclusosi nel luglio 2006 (processo che tra le altre cose squalificava Moggi a cinque anni, con proposta di radiazione):

"Una sentenza pazzesca, e non perché il calcio sia un ambiente pulito. Una sentenza pazzesca perché costruita sul nulla, su intercettazioni difficilmente interpretabili e non proponibili in un procedimento degno di tal nome. Una sentenza pazzesca perché punisce chi era colpevole solo di vivere in un certo ambiente, il tutto condito da un processo che era una riedizione della Santa Inquisizione in chiave moderna. E mi chiedo: cui prodest? A chi giova il tutto? Perché tutto è uscito fuori in un determinato momento? Proprio quando, tra Laziogate di Storace, la lista nera di Telecom, poi Calciopoli, poi l’ex Re d’Italia ed ora, ultimo ma non ultimo, la compagnia telefonica Vodafone che ha denunciato Telecom per aver messo sotto controllo i suoi clienti. Vuoi vedere che per coprire uno scandalo di dimensioni ciclopiche hanno individuato in Luciano Moggi il cattivo da dare in pasto al popolino?".

Nel giorno della (probabile) fine politica di Berlusconi, mi gira in testa una domanda: ma la giustizia, in Italia, funziona o no?


Per chi è interessato ad approfondire un po' questa squallida vicenda, ecco alcuni precedenti post:

domenica 6 novembre 2011

Polemiche insopportabili

Dopo la decisione del prefetto di Napoli Andrea De Martino di rinviare la partita Napoli-Juventus si è aperta una polemica insopportabile, che in questo momento si doveva evitare. Se non altro per rispetto delle vittime dell'alluvione che in queste ore sta attraversando l'Italia. Si poteva giocare? Forse sì, anzi, senza dubbio sì. Perché in serata le condizioni meteo sulla città partenopea sono decisamente migliorate. Era giusto rinviare? Sì, secondo me sì. Lasciamo stare le dietrologie, del tipo "il Napoli voleva rinviare perché era stanco dopo la partita di Champions". La decisione è stata presa dalla prefettura, non dalla società Napoli.
Noi italiani dobbiamo sempre trovare argomenti per polemizzare. Da una parte si accusano (a ragione) le autorità di Genova di non avere avere adottato sufficienti misure di prevenzione per far fronte all'alluvione, come chiudere le scuole; dall'altra si accusa il prefetto di Napoli di avere preso una decisione affrettata e faziosa, perché la partita si poteva giocare. Alcuni giornali dicono che le condizioni del campo di gioco erano ottime nonostante la pioggia e che quindi la decisione di rinviare è stata sbagliata. Ma si dimenticano che lo stadio San Paolo è uno stadio da 60mila posti. Il che significa che 60mila persone devono raggiungere lo stadio attraversando la città. E stamani le strade di Napoli erano allagate, come testimoniano le immagini televisive. La decisione del prefetto, presa probabilmente anche sulla scia emotiva dei fatti di Genova, è assolutamente comprensibile. Per una volta evitiamo stupide polemiche, per favore.

venerdì 4 novembre 2011

Giornalismo senza pudore

Mi sono imbattuto oggi in un articolo firmato da Carlo Pellegatti, storico cronista del Milan per Mediaset. L'articolo - che è ancora in bella mostra sul sito di sportmediaset - si intitola "Milan, la pazza idea: Del Piero". Pellegatti prova con scarso successo a spiegare che le possibilità che Del Piero si trasferisca al Milan il prossimo gennaio ci sono e sono concrete. Lo fa dicendo che sarebbe un affare per tutti: per la Juventus che non conta più davvero sul suo capitano, per il Milan che vuole sostituire Cassano e per il giocatore che gioca poco e si sente tradito dalle parole di Agnelli.
Ho maturato nel tempo una certa insofferenza verso i giornalisti sportivi. Salvo rare eccezioni, mi danno sempre l'impressione di sapere molto poco di quello che scrivono. Ma qui non si tratta di essere competenti o meno. Qui si parla di prendere in giro i propri lettori pur di vendere qualche copia in più o avere più contatti sul proprio sito internet (e quindi più soldi dalla pubblicità). Mi rifiuto di credere che un esperto cronista come Pellegatti possa credere davvero a quello che ha scritto. Certo, sto parlando di un articolo insignificante che al massimo strapperà un sorriso ironico al lettore. Ma è il principio che non va bene. Non si può ingannare il lettore per aumentare le vendite, è scorretto. E' chiaro che la notizia è una merce, e come tutte le merci è fatta per essere venduta. Ed è altrettanto chiaro che dietro al giornale c'è un'azienda, che come tutte le aziende deve fatturare. Però il giornale non può e non deve essere solo questione di fatturato. Dovrebbe essere anche un servizio verso i lettori che lo comprano. Sono due cose che devono conciliarsi e non opporsi l'una all'altra.
C'è poi in Italia un altro tipo di giornalismo, per certi versi opposto a questo. E' incarnato da tutti quei giornali (quanti ce ne sono nel nostro Paese!) che si disinteressano completamente del fatturato e pensano solo a venerare la propria parte politica. Tanto a fine anno ci pensa papà Stato (in sostanza noi cittadini) a sanare i bilanci. Questo perlopiù è il giornalismo italiano. Uno schifo.

mercoledì 2 novembre 2011

Quel signore di Massimo Moratti

Diciamo che Massimo Moratti ce la sta mettendo tutta per farsi perdonare. Non chiederà mai scusa esplicitamente, questo no. Non ammetterà mai che Calciopoli è stata una grande bufala e che tutti i successi interisti post 2006 sono frutto di quello che è successo proprio in quel 2006. Non dirà mai che i quattro scudetti, le due Supercoppe Italiane, la Coppa Italia e soprattutto la Champions League sono tutti figli di un processo farsa. Questo non lo dirà mai, mettetevi l'animo in pace. Continueremo invece a sentire la solita tiritera: che l'Inter non vinceva per colpa di una cupola governata da Luciano Moggi da Monticiano (l'ex capostazione di Civitavecchia contro il petroliere!), e che c'era un sistema contro i nerazzurri, e continuerete a sentirvi ricordare quel rigore non dato a Ronaldo nel '98 (ma nessuno parla più della piscina di Perugia che costò uno scudetto alla Juve??), e continuerete a sentire le solite storielle da bar dello sport.
Ma Massimo Moratti è un signore (lo dicono tutti che è un signore e quindi è un signore, vero?) e come tutti i signori chiede scusa quando sbaglia. Semplicemente lo fa a modo suo. Sta facendo di tutto per darci ragione, per dimostrare che di calcio non ci ha mai capito una mazza e che questo è il vero motivo degli insuccessi interisti. E noi non lo apprezziamo per questo? Mesi fa scrissi che si sarebbe aperto un periodo molto complicato per la creatura di Moratti, e il tempo mi sta dando ragione. Ma Moratti ha lavorato per andare oltre tutte le nostre più catastrofiche previsioni sulla stagione interista. Ha sudato un'intera estate per costruire una squadra pronta a lottare per la salvezza. E noi non lo apprezziamo per questo? E' il suo modo per chiedere scusa alla Juventus e alla sua stagione passata in serie b, quella 2006-2007. Possiamo dirlo forte: Massimo Moratti è un vero signore! E noi non lo apprezziamo per questo?

lunedì 31 ottobre 2011

Forza Antonio!

Mando un abbraccio ad Antonio Cassano. Forza Antonio, guarisci presto che ti vogliamo vedere presto in campo!

domenica 23 ottobre 2011

Coraggio Antonio!


Si diceva che Conte avrebbe portato un gioco ultraoffensivo. Si raccontava del suo 4-2-4 come se si stesse parlando del Brasile di Pelè. "Giocheremo con 4 attaccanti, i due esterni saranno due attaccanti aggiunti", è stata una delle frasi più gettonate dell'estate juventina. E invece.
E invece succede che dopo 7 partite - 3 vittorie e 4 pareggi - ci stiamo accorgendo che la realtà è molto distante da come ce la immaginavamo. Ieri col Genoa, dopo che la Juventus era tornata in vantaggio con il secondo gol di Matri, Conte ha deciso di togliere Estigarribia, un'ala offensiva, per mettere Pazienza, un centrale di centrocampo. Il 4-4-2 (non chiamiamolo 4-2-4 per favore) si è traformato in un 4-5-1, con Vucinic e Pepe sugli esterni e Marchisio, Pazienza e Pirlo a fare i centrali, con Matri unica punta. Altro che Brasile anni '60! Conte sta confermando la migliore tradizione calcistica italiana: squadra che vince si copre e riparte. A Verona col Chievo - la partita precedente - la Juve aveva giocato 80 minuti con una sola punta. Solo negli ultimi 10 minuti, con l'ingresso di Del Piero, la squadra si era schierata con due punte, e a quel punto aveva rischiato seriamente di vincere la partita.
Riconosco a Conte di avere tra le mani un compito difficile. Se escludiamo Buffon, Pirlo e Del Piero oggi nella Juventus non c'è nessuno che ha alzato un trofeo in carriera. Manca esperienza e mi rendo conto che c'è bisogno di tempo. Quello che rimprovero a Conte è di avere smarrito negli ultimi tempi quel coraggio e quell'energia che lo hanno sempre contraddistinto, e che poi sono il motivo per cui la società lo ha scelto per ripartire dopo due annate complicate. La Juventus non può giocare come una provinciale, e a maggior ragione non può farlo davanti ai propri tifosi contro una squadra di media classifica. Passare in vantaggio col Genoa e a quel punto coprirsi (quando manca più di mazzora alla fine), sperando magari di colpire in contropiede - non è da Juve. Lippi diceva: «Ragazzi noi non andiamo in campo per vincere. Noi andiamo in campo per stravincere». So che erano altri tempi e so che era un'altra Juventus. Ma se si vuole tornare grandi, la strada è quella. Forza e coraggio Antonio!

(Ciao Sic, ci mancherai)

martedì 18 ottobre 2011

Andrea Agnelli cancella 18 anni di Juve

Oggi si è raggiunto il fondo. Mai avevo sentito un dirigente bianconero - e qui si parla del presidente in persona, Andrea Agnelli - attaccare in questo modo il giocatore simbolo della juventinità, Alessandro Del Piero. L'uomo che da oltre 18 anni fa la storia della Juventus. L'uomo che è sceso in serie b dopo aver vinto un mondiale. Uno che ha dato tutto per la Juventus, senza spesso avere in cambio la stessa moneta. Ecco dunque le parole di Agnelli nel discorso di apertura dell'assemblea degli azionisti: «Questo sarà l'ultimo anno di Del Piero alla Juve. Era negli accordi l'aveva detto Alessandro per primo che quello di maggio sarebbe stato l'ultimo contratto con la Juve. Da parte nostra è stato un giusto tributo a quello che il capitano ha rappresentato per la storia della Juventus».
Non sono un dirigente sportivo, sono solo un ragazzo di 22 anni che segue questo sport da parecchi anni. E certe logiche oramai le capisco. Come certi messaggi tra le righe. A partire da quello che Agnelli cerca di far passare (in modo vigliaccamente subdolo) quando dice che «l'aveva detto Alessandro per primo che quello di maggio sarebbe stato l'ultimo contratto con la Juve. Da parte nostra è stato un giusto tributo a quello che il capitano ha rappresentato per la storia della Juventus». Si parla dell'ultimo rinnovo di contratto definendolo un "giusto tributo a quello che il capitano ha rappresentato per la storia della Juventus". Tributo di cosa? Forse Andrea si dimentica che negli ultimi 5 anni Del Piero ha sempre chiuso la stagione da capocannoniere della squadra? Si dimentica che anche nell'ultima disastrosa stagione è stato uno dei pochissimi a salvarsi, segnando gol decisivi e trascinando la squadra sulle proprie spalle nei momenti più difficili? Si dimentica che non ha mai fatto alcuna polemica personale in oltre 18 anni di Juve? Si dimentica che Del Piero si è sempre guadagnato tutto sul campo a suon di gol e prestazioni di alto livello? Si dimentica di tutto questo? Nessuno ha mai regalato nulla a questo grande giocatore, definire l'ultimo rinnovo un tributo alla sua storia è profondamente offensivo per quello che è stato, è, e sarà Alessandro Del Piero.
Che Del Piero non fosse esattamente nelle simpatie del presidente Agnelli era già chiaro dalla scorsa stagione, quando Agnelli aspettò diversi mesi prima di proporgli e fargli firmare il rinnovo di contratto. Si pensava che il rinnovo arrivasse a gennaio, ma arrivò il 5 maggio. A fine stagione insomma, poco prima che scadesse il contratto a giugno. Un'attesa interminabile e senza senso, che contribuì solo ad alimentare un'inutile e dannosa polemica, sempre opportunamente stemperata dalle dichiarazioni mai fuori dalle righe del Capitano. Ma il silenzio della società fu imbarazzante e carico di significato. Oggi purtroppo è arrivata la conferma di questo atteggiamento stupidamente ostile di Andrea Agnelli nei confronti di Del Piero. La motivazione di questo suo rancore non la so, e credo non la sappia nessuno tranne lui (Agnelli) e qualcuno che gli gira intorno. Ad ogni modo qualunque essa sia, è una motivazione stupida. Mi limito a constatare che Agnelli ha fatto questa sparata durante l'assemblea degli azionisti, nella quale è stato annunciato un buco di bilancio di 95 milioni di euro. Notizia ovviamente passata in secondo piano dopo le dichiarazioni su Del Piero. Vuoi vedere che che Agnelli ha trovato il modo per distogliere l'attenzione dalla cattiva gestione sportivo-economica degli ultimi anni? Come si dice: a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.

Nel precedente post parlavo di tifosi con la memoria corta. Bene, questo è molto peggio. Si parla del presidente della Juventus, di una figura che dovrebbe rappresentare noi juventini e il nostro orgoglio juventino. E invece cade in discorsi fuori luogo, fatti in tempi sbagliati, offensivi verso l'unica bandiera che oggi noi tifosi bianconeri possiamo ancora sventolare, Alessandro Del Piero. Purtroppo dopo Moggi e Giraudo la Juventus non ha più avuto dirigenti degni di essere chiamati con questo nome. Lo dico con profonda amarezza. E proprio Moggi si esprime così sulla vicenda: «L’uscita di Agnelli su Del Piero non l’ho capita. Alessandro quando gioca è uno che dà sempre fastidio alle difese e tecnicamente è ancora il migliore. E’ un gioco a farsi male, si sta facendo di tutto per demotivare il giocatore. La società avrebbe dovuto dire queste cose a marzo o aprile, non ora. Non c’entrava nulla fare queste dichiarazioni adesso, non ho capito quest’uscita e chi ha suggerito Agnelli e lo stesso presidente hanno fatto un errore terribile. Il modo in cui si liquida un giocatore che ha dato tanto alla Juventus è sbagliatissimo. Ognuno si comporta come crede, se Agnelli ha detto così probabilmente avrà parlato giù con i cugini (la famiglia Elkann). Sono convito che Del Piero possa dare ancora molto. Conoscendolo non si tirerà indietro, ma senza dubbio sarà demotivato».

Voglio concludere il post riprendendo le ultime parole del grande Luciano Moggi: «Conoscendolo non si tirerà indietro, ma senza dubbio sarà demotivato». Credo di essere uno dei tifosi più fedeli di Del Piero, uno di quelli che è sempre stato dalla sua parte, anche e soprattutto nei momenti più negativi. Ho sempre creduto in questo meraviglioso giocatore. E posso dire che Moggi ha detto solo parole sacrosante sulla vicenda, ma credo che nell'ultimo passaggio si sbagli. Le dichiarazioni di Andrea Agnelli butterebbero giù quasi tutti, ma non lui. Quantomeno non il Del Piero di oggi, che di situazioni così ne ha vissute oramai parecchie. Certo, sarà molto amareggiato. Dopo tutti questi anni - e dopo tutto quello ha dato alla Juventus - essere trattato così deve essere profondamente frustrante. Ma sono convinto che stia già meditando la sua rivincita. Non a parole, quelle le lascia agli altri. Risponderà sul campo. Come ha sempre fatto. Come sempre farà. Disse una volta Diego Armando Maradona, dopo avere assistito a una storica doppietta del Capitano (al tempo quasi trentaquattrenne) al Bernabeu, il tempio del calcio: «Certo che Del Piero non finisce veramente mai!». Vuoi vedere che questa frase la sentiremo di nuovo a breve?

domenica 16 ottobre 2011

Tifosi con la memoria corta


Su alcuni siti sportivi sto leggendo diversi commenti di tifosi juventini che dicono che il tempo di Del Piero è finito e dovrebbe lasciare spazio agli altri. Allora voglio dire una cosa a questi pseudo tifosi della vecchia signora.
Del Piero non ha mai creato un solo problema di spogliatoio. Sono anni che periodicamente deve fare i conti con la panchina, eppure non si è mai lamentato pubblicamente di questo. Col Milan non ha giocato un solo minuto, eppure so quanto ci tenesse a scendere in campo anche solo per venti minuti. Però non ha fatto una polemica, neanche una. Anzi, si è congratulato pubblicamente per la prestazione della squadra. I giornalisti tempo fa dicevano che non sapeva accettare la panchina, ma lui non ha mai fatto polemiche pubbliche per questo. Certo, come tutti vuole giocare, ma sarebbe un problema se non volesse giocare. Non gli ho mai sentito dire davanti a un microfono una frase stonata, anche quando le cose non giravano a suo favore. Si è sempre comportato da vero Capitano, ha sempre rispettato le logiche del gioco di squadra, non ha mai fatto prevalere le sue esigenze rispetto a quelle del gruppo. Non ha mai fatto sceneggiate per una sostituzione, come invece capita spesso a Roma, dove tutto è concesso (o almeno lo era prima dell'arrivo degli americani) a un solo giocatore (indovinate chi). Negli ultimi cinque anni Del Piero ha sempre chiuso la stagione da capocannoniere della squadra. Nelle ultime due disastrose stagioni della Juventus è stato uno dei pochissimi a salvarsi. Per questo quando leggo certe critiche (farei meglio a chiamarli attacchi privi di ogni senso) contro Del Piero - fatti oltretutto da juventini (pseudo juventini?) - provo un certo disgusto. Sarebbe interessante approfondire la psicologia di certi tifosi - probabilmente lo hanno già fatto - che sembrano costantemente immersi nel presente, perdendo ogni riferimento temporale e qualsiasi capacità di contestualizzazione. Quando lo scorso marzo Del Piero segnò un gol meraviglioso e decisivo al Brescia, si sprecarono le lodi nei suoi confronti. Adesso che manca l'appuntamento col gol da un po' di tempo, si ricomincia  a dire che deve ritirarsi e lasciare spazio ai giovani. Beh, oramai dopo tanti anni che si ripetono questi discorsi, ci rido anche un po' su. D'altronde nel calcio italiano non c'è mai stato equilibrio nelle valutazioni, è sempre tutto bianco o nero. Non c'è voglia di aspettare e non c'è interesse (o capacità, non so) di fare un'analisi che vada oltre la situazione presente. Tutto è ora e soltanto ora. Ieri non esiste più.
Lunga vita al Capitano.

sabato 15 ottobre 2011

Aspettando Superpippo


Ci sono dei momenti, nella vita di un atleta (e di un uomo), in cui l'unica cosa giusta da fare è lavorare e aspettare. Aspettare che arrivi il momento buono per raccogliere i frutti del proprio lavoro. Si fa una scommessa, si mette in gioco il proprio lavoro sperando che un giorno venga ripagato. Con la consapevolezza che quel giorno potrebbe non arrivare mai.

Confesso che la mia stima e considerazione per Pippo Inzaghi è maturata solo dopo la sua partenza dalla Juventus. Ai tempi in cui giocava con la maglia bianconera non provavo alcuna simpatia per lui: a dire il vero non lo sopportavo proprio! Il suo modo egoista di giocare a pallone mi innervosiva. Ricordo ancora che in una partita contro il Venezia - finita 4-0 per la Juventus - riuscì letteralmente a scippare due gol fatti a Del Piero, che in quel periodo faticava non poco a segnare su azione e per lui sarebbe stato importante sbloccarsi. Ma Inzaghi non è mai stato sensibile a questo tipo di discorsi. Ha un modo abbastanza egocentrico di interpretare il calcio. Lui è così, prendere o lasciare. 
Eppure, col passare degli anni, la mia stima nei suoi confronti è aumentata molto. Lo scorso anno - quando entrò a trenta minuti dalla fine e segnò due gol contro il Real Madrid, rincorrendo come un matto ogni giocatore avversario che avesse la palla tra i piedi - fu uno spettacolo incredibile. Vedere un trentasettenne che ha già vinto tutto e segnato valanghe di gol dannarsi l'anima per dimostrare di non essere ancora finito è una cosa rara nel mondo del calcio di oggi. Anzi, a dire il vero, non avevo mai visto una carica del genere in un giocatore della sua età. Inzaghi ha una passione per quello che fa decisamente fuori dal comune, ci mette l'anima. E in campo si vede. Per questo lo apprezzo.

Era il 20 ottobre 2010 quando Superpippo realizzò la sua storica doppietta al Real. Venti giorni dopo, nella partita contro il Palermo, la rottura di crociato e menisco del ginocchio sinistro spalancò le porte al ritiro, alla fine della sua gloriosa carriera. A 37 anni un infortunio così è duro da superare. Ma Pippo si è rimesso in gioco. Scegliendo di continuare e di rimanere al Milan, consapevole di tutti i rischi e le difficoltà cui sarebbe andato incontro facendo questa scelta. Sapendo di avere davanti Ibra, Pato, Cassano e Robinho. Sapendo, in sostanza, di essere il quinto attaccante nei piani di Allegri. Lo ha fatto perché è molto legato al Milan, ma soprattutto per giocare ancora la Champions League e provare a superare di nuovo Raùl come miglior marcatore delle coppe europee. Allegri gli ha dato un'altra mazzata, escludendolo dalla lista Champions della prima fase, quella a gironi, però ha già fatto capire che lo reinserirà nella lista, se il Milan dovesse approdare agli ottavi. Nella fase eliminatoria, quindi, Inzaghi ci sarà.
E lui continua a lavorare in silenzio, lontano dai riflettori (da quant'è che non parla alla stampa?!), per prendersi un'altra - forse l'ultima - grande soddisfazione della sua carriera. Aspettando quella notte di Champions in cui Allegri si affiderà di nuovo a lui, a Superpippo. Sperando che quella notte arrivi davvero.

domenica 9 ottobre 2011

E' più italiano un leghista o un oriundo?

«La convocazione di Osvaldo nella nazionale italiana certifica il fallimento definitivo della politica della Figc. Il progetto di Cesare Prandelli, che avrebbe dovuto portare i nostri giovani talenti a vestire la maglia azzurra, si sta trasformando in una pensione per oriundi». E' deprimente sentire certi discorsi ancora oggi, nel 2011. A maggior ragione se provengono da persone che ci dovrebbero rappresentare. L'autore di questo magnifico e profondo discorso è chiaramente un leghista, tale Davide Cavallotto, deputato che, a quanto pare, nel tempo libero si diletta a fare il fanta-selezionatore della nazionale italiana. Con scarso successo peraltro.
E' davvero scoraggiante notare come nel nostro Paese ogni cosa, ogni piccola e insignificante cosa, riesca a diventare argomento per ingaggiare polemiche futili e dannose, buone solo a disperdere energie che sarebbero molto preziose, soprattutto in un momento come questo, per risolvere ben altri problemi. So bene che la migliore risposta a questo tipo di provocazione è non rispondere, ma stavolta non ce la faccio. Entro nella polemica.

Signor Cavallotto, non so se lei è a conoscenza del fatto che la Cina detiene oggi il 4% del nostro debito pubblico, il 10% di quello americano, e complessivamente il 7% di quello dei membri dell’Eurozona, Piigs in testa (i cosiddetti maiali: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna). Il rischio di un default prossimo futuro dell'Italia autorizza molti a pensare che Pechino sia in trattativa per acquistare fino al 10% del nostro debito pubblico. La Cina, ovviamente, fa tutto questo perché ha interesse a farlo. Non compra il debito pubblico senza avere nulla in cambio, questo lo saprà. Lo fa innanzitutto perché la sua industria vive di export, e se crolla il mercato italiano è un grande danno economico anche per la Cina. Ma lo fa anche per inseguire quel disegno egemonico che le è tanto caro. Sa, pare che in cambio della cartaccia su cui sono stampati i nostri titoli, vorranno cose reali, concrete e di valore, a partire dalle nostre imprese pubbliche più importanti. In parole povere: acquistando tali titoli il Governo darebbe ai cinesi il via libera per l’acquisto di azioni nelle grandi aziende italiani (Eni ed Enel il prima fila). Vendiamo pezzi del nostro Paese alla Cina per evitare il fallimento. Ma lei di questo non si preoccupa. Lei non si preoccupa di trovare un modo migliore per risolvere l'enorme problema del debito pubblico italiano che non rassegnarsi (e consegnarsi) all'invasione cinese. Che gliene importa di frenare l'espansione cinese nel nostro Paese? Lei si preoccupa di frenare l'invasione dei giocatori stranieri nella nostra Nazionale. Come non capirla. La Nazionale di calcio sta aprendo le porte ai giocatori che non sono nativi della nostra penisola. Deve essere una cosa davvero terribile!
Pensi che la Nazionale di calcio tedesca ha portato al mondiale in Sudafrica 23 atleti, di cui addirittura 11 hanno radici all'estero, con 8 Paesi rappresentati, che salgono a 9 se si include anche la Germania. Più della metà dei giocatori, inoltre, sono nati fuori dai confini tedeschi oppure hanno almeno un genitore non-tedesco. Tra gli uomini di Joachim Loew - selezionatore tedesco - si mescolano polacchi, bosniaci, spagnoli, ghanesi, nigeriani, tunisini e turchi.  Penserà poverini questi tedeschi!. Ma la voglio tranquillizzare: la nazionale tedesca è una delle nazionali più divertenti, gioca un calcio moderno, veloce, di squadra. Non sono falliti, mi creda. Sono semplicemente in sintonia con i tempi. Signor Cavallotto, siamo nel 2011.

E poi, parliamoci chiaro, il concetto di nazionalità è molto delicato e si presta a molte interpretazioni. Personalmente trovo riduttivo ricondurlo al solo luogo di nascita. Si è italiani non perché si è nati in Italia - o perlomeno non solo perché si è nati in Italia - ma perché ci si sente italiani. E a volte le due cose non coincidono. Oggi Osvaldo, nella sua prima conferenza stampa azzurra, ha risposto a Cavallotto dicendo di essere più italiano lui, che ha moglie e figli italiani, rispetto a certi politici. Come dargli torto...

P.S. In fondo alla pagina trovate il contatore del debito pubblico italiano. Penso sia uno strumento utile per chi vuole toccare con mano la gravità del problema. Il contatore è stato creato dall'Istituto Bruno Leoni, e lo potete scaricare gratuitamente dal loro sito web: http://www.brunoleoni.it/

Chi porta la borraccia

Tutte le grandi squadre hanno almeno un grande campione. Un giocatore capace di cambiare la partita, il corso dell'evento da solo. Si parla e si discute sempre molto di questi giocatori: la stampa, le televisioni e in generale l'attenzione mediatica è quasi sempre rivolta verso di loro. Ed è giusto che sia così, perché sono questi i giocatori per cui la gente paga il prezzo del biglietto, sono loro che accendono la fantasia e le speranze dei tifosi. E' giusto che si parli di loro.
Ma nella storia dello sport non c'è mai stata una squadra che abbia vinto senza l'aiuto dei gregari. Se non c'è chi suda e corre per gli altri, la squadra non può funzionare. Il Real Madrid in passato ha commesso l'errore di costruire squadre con troppi campioni, e troppi pochi gregari. E alla fine non trovava mai gli equilibri giusti. Nel ciclismo, Lance Armstrong non avrebbe mai vinto 7 Tour de France consecutivi se non avesse avuto una squadra formidabile su cui contare. Nella Formula Uno il secondo pilota è spesso decisivo nella corsa al titolo; e senza l'aiuto dei meccanici, un pilota non va da nessuna parte. Nell’atletica sul fondo e mezzofondo spesso vengono ingaggiate le cosiddette "lepri", che sono atleti che hanno il compito di dettare il ritmo per un po' di tempo, prima di lasciare la pista ad altri colleghi. Servono al campione di turno per avere un punto di riferimento su cui costruire una vittoria o un record.
Sono meno pagati, meno acclamati, meno famosi. Si muovono in penombra, vivono di luce riflessa, si ritagliano solo dei piccoli spazi. In poche parole: fanno il lavoro sporco. Eppure sono decisivi quanto i campioni. E' il destino dei gregari. Ma occhio, non chiamateli così. Alcuni potrebbero arrabbiarsi.

venerdì 30 settembre 2011

"The Black Mamba" a Bologna

E' quasi ufficiale: Kobe Bryant, superstar del basket Nba - conosciuto anche come The Black Mamba - sarà un giocatore della Virtus Bologna. "Quasi", perché manca ancora un dettaglio non da poco: la firma. Le dichiarazioni del patron della Virtus, Claudio Sabatini, lasciano però pochi dubbi sull'esito della trattativa: «Abbiamo trovato l'accordo sulla parte economica - ha spiegato stamani a Sky Sport 24 il numero uno della Virtus - dobbiamo solo definire alcuni particolari, ma come diceva un noto allenatore di calcio "rigore è quando arbitro fischia". Noi abbiamo trovato l'intesa su 10 partite, anche perché non ci potremmo permettere l'11esima. Ringrazio Bryant e il suo agente per la disponibilità e per la massima collaborazione che hanno avuto. Per noi adesso è fondamentale chiudere prima del 9 ottobre per avere Kobe in campo il 9 con la Virtus Roma. I tempi sono molto stretti, ma dobbiamo farcela».
A questo punto è interessante chiedersi cosa può portare Kobe al basket italiano. Ovviamente porterà un grande valore aggiunto alla Virtus. Se è davvero motivato sarà difficile contenerlo. E io non credo che uno come lui sia venuto in Italia solo per ingrossare il portafoglio. Ma in 10 partite, Kobe può davvero cambiare la stagione della Virtus Bologna? Non penso. Alla fine 10 partite sono pur sempre 10 partite, e quando saranno finite tutto tornerà come prima.
Sabatini ha dichiarato che «con l'arrivo di Kobe vince il nostro sistema». Su questo, sinceramente, ho i miei dubbi. Se guardiamo i fatti, Kobe arriva da noi grazie al lockout Nba, lo sciopero dei proprietari delle squadre che cercano di abbassare il monte ingaggi. Se l'Nba non si fermava, non si sarebbe mai creata questa opportunità. E Kobe ha scelto l'Italia non tanto per ragioni sportive (in Europa ci sono campionati di basket molto più competitivi del nostro, e la Virtus Bologna non è certo una corazzata), ma perché questo è il Paese in cui ha vissuto alcuni anni della sua infanzia, quando il padre Joseph Washington Bryant giocava nel Pistoia basket. Kobe conosce perfettamente l'italiano e già da tempo aveva dichiarato di avere il desiderio di giocare dalle nostre parti, magari a fine carriera. Quindi non credo si possa parlare di vittoria del nostro sistema. Mi sembra più corretto parlare di coincidenze fortunate.

mercoledì 28 settembre 2011

Troppo presto? Eppure siamo già in ritardo...

E' successo che nel finale della partita Juventus-Bologna, mercoledì scorso, è scoppiata una rissa tra alcuni giocatori delle due squadre. La baruffa si è scatenata proprio accanto agli spalti e un tifoso juventino ha allungato un braccio nel tentativo (vano) di dare uno schiaffo a Di Vaio, capitano del Bologna. Apriti cielo. Via con i soliti discorsi disfattisti. Gli stessi che venti giorni fa, alla cerimonia d'inaugurazione del nuovo stadio bianconero, esaltavano la Juventus per aver portato la modernità nel calcio italiano, ora si prodigavano nel ripetere che «l'Italia non è pronta per avere uno stadio così», e altri discorsi di questo tenore. Allora bisogna intenderci. Qual è il problema? Lo stadio o i tifosi? Il contenitore o il contenuto?
In occasione della partita di Champions League tra Napoli e Villareal di ieri sera, la società partenopea ha dovuto rimuovere tutte le reti di protezione dal settore ospiti del San Paolo. Lo pretende la Uefa, l'organo che governa il calcio europeo. Capite quanto siamo indietro rispetto all'Europa, dal punto di vista della cultura sportiva e non solo? Stadi con protezioni che si rifanno il look nelle notti di Champions, è paradossale. Si continua a dire che l'Italia non è pronta per stadi senza barriere, eppure siamo già indietro rispetto agli altri. Ma allora quando saremo pronti anche noi? Capello qualche tempo fa disse frasi molto pesanti sulla situazione del tifo calcistico italiano: «Purtroppo siamo in mano agli ultrà. Non devo fare altro che ripetere le stesse cose che ho già detto e per cui sono stato già ampiamente criticato. Non ho cambiato idea e non mi interessa se purtroppo ho avuto ragione». Frasi che suscitarono un polverone mediatico e dalle quali il mondo sportivo e la politica italiana si dissociarono, chiudendosi in una difesa corporativa. Continuiamo a far finta di niente. E così accumuliamo ritardo su ritardo.
La Juventus ha fatto una scommessa, realizzando uno stadio senza barriere. E sta facendo di tutto perché questa scommessa possa essere vincente. Gli agenti della Digos della Questura di Torino hanno già identificato il tifoso che ha tentato di dare lo schiaffo a Di Vaio e l'uomo sarà punito con 5 anni di Daspo (divieto di Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive). Verrebbe da dire che anche i calciatori protagonisti della rissa meriterebbero una sanzione del genere, ma lasciamo perdere. In questa vicenda le cose da sottolineare sono due. Primo: il colpevole ha un nome e un cognome. Secondo: il colpevole sconterà la sua pena. Non sono due cose ovvie, almeno nel nostro Paese, in cui lo stadio è il luogo senza giustizia per eccellenza.
Non c'è più tempo da perdere e la Juventus lo ha capito. Ma adesso qualcuno deve seguire la sua strada.