sabato 30 giugno 2012

Finisce l'era Del Piero. Alla Juventus.


Si chiude così il cerchio, oggi 30 giugno 2012. Da domani, dopo diciannove anni tutti in bianconero, Del Piero sarà un giocatore senza contratto e senza squadra. Finisce ufficialmente la sua storia con la Juventus, dopo che nella sostanza si era già conclusa lo scorso 20 maggio, finale di Coppa Italia. Si sta cercando una nuova casa Pinturicchio, lontano da Torino e lontano dall'Italia. Forse la troverà dall'altra parte del mondo, in America, o forse ci sarà il colpo di scena e rimarrà in Europa. «Non ci sono situazioni concrete, ma tante ipotesi che stiamo vagliando: qualcosa è già uscito fuori, qualcosa ancora no. Non conta il campionato, ma il progetto. Alessandro ha sempre detto che gli Usa esercitano un fascino particolare», parla così suo fratello e procuratore Stefano. Intanto Del Piero si gode le vacanze e lascia tutti i discorsi contrattuali in mano al suo staff.
Il ritorno alla Juventus nei panni di dirigente non è vicino come molti ingenuamente pensano. Del Piero è nato per giocare, come lui stesso ama ripetere. E giocherà ancora, lo farà più a lungo di quanto la gente creda. La sfida sportiva che da un po' lo anima più di ogni altra cosa è quella contro il tempo. Riuscire a rimanere competitivo nonostante gli anni, questa adesso è la sua grande scommessa. E ovviamente continuare a divertirsi facendo la cosa che più gli piace fare: «Oggi sono uno di quei bambini che può comprarsi tutti i giochi che vuole, ma tanto il suo preferito resta il pallone». E ancora: «Per fare il dirigente ho una vita davanti, sempre che lo farò e sempre che me lo chiedano». Rispose così Del Piero, lo scorso 13 maggio, dopo aver giocato la sua ultima partita allo Juventus Stadium, a chi gli chiedeva se non fosse disposto a cambiare il suo ruolo pur di rimanere alla Juventus. Risposta inequivocabile, con tanto di stilettata finale diretta a chi già quest'anno gli aveva preparato un posto nel museo bianconero, non in campo. Del Piero giocherà ancora, come ha fatto quest'anno, anzi più di quest'anno (in cui nonostante tutto ha messo a segno altri gol decisivi). E la Juventus da parte sua non ha alcuna intenzione di richiamarlo a casa, neanche in altra veste: troppo grande Pinturicchio perché qualcuno gli faccia spazio.
Si separano così le strade di Del Piero e della Juventus, ufficialmente e chissà per quanto tempo. A Del Piero mancherà la Juventus, ma alla Juventus mancherà Del Piero. Moltissimo, e un giorno se ne accorgerà. Forse quel giorno lo richiamerà a casa. Forse. Sarà solo il tempo a dirlo.

Il saluto di Ale sul proprio sito. Grazie Ale, sempre al tuo fianco.

domenica 24 giugno 2012

Tecnologia italiana e fantasia spagnola


Alonso primo, Raikkonen secondo, Schumacher terzo: sul podio del GP d'Europa si sono accomodati il presente, il passato prossimo e il passato remoto della Ferrari. Ha vinto la Rossa che ha portato sui tre gradini del podio la sua tradizione vincente, ma prima ancora ha vinto, stravinto, Fernando Alonso, il pilota più forte e più in forma del Mondiale. E' stato un GP assurdo, con l'undicesimo Alonso che è arrivato primo e il dodicesimo Schumacher che è arrivato terzo, il tutto su un circuito nel quale sorpassare è difficilissimo. Il Gran Premio di Valencia, ottava prova del Mondiale di Formula Uno, taglia in due la stagione: non siamo ancora a metà calendario, ma Alonso sta dando una dimostrazione di superiorità spaventosa. Non ha la macchina più forte - la Ferrari è stata progettata male e aggiustata in corsa, e la Red Bull e la McLaren restano superiori - ma si trova in testa al mondiale con venti punti sul secondo, l'eterno sottovalutato Mark Webber. Fa bene Domenicali a ripetere che il Mondiale finisce a novembre, ma la superiorità che Alonso continua a dimostrare gara dopo gara è impressionante. Oggi nessuno come lui è capace di essere aggressivo e allo stesso tempo lucido, azzardare manovre impossibili e allo stesso tempo controllare il rischio. Era dai tempi del miglior Schumacher che in Formula Uno un pilota non faceva la differenza in modo così evidente. L'anno scorso Vettel ha stravinto il titolo meritando, ma non c'era partita perché la Red Bull aveva parecchie marce in più sui rivali. Il capolavoro che sta compiendo Alonso è quello di vincere con una macchina normale. Basta vedere cosa (non) riesce a fare il suo compagno di squadra Felipe Massa, undici punti nella classifica mondiale, esattamente cento in meno di Alonso. Forse si sta aprendo un nuovo ciclo vincente per il Cavallino, anche se è presto per dirlo. Sicuramente la Rossa ha trovato il degno erede di Schumacher, e la gara di oggi ha confermato definitivamente questa sensazione che già si percepiva da tempo. Rimane a questo punto un solo dilemma: la Ferrari sarà capace di mettere a disposizione di Alonso un quantitativo minimo di tecnologia per lanciare la sua corsa al titolo iridato? La tecnologia italiana sarà all'altezza della fantasia spagnola?

venerdì 15 giugno 2012

Biscotto o contrappasso?


27 maggio, Coverciano, ritiro della nazionale.
Buffon parla ai microfoni di SkySport: «Sicuramente alcune volte se qualcuno ci pensa bene cosa devi fare? Si dice meglio due feriti che un morto. E' chiaro che le squadre le partite se le giocano e sarà sempre così, però penso che ogni tanto anche qualche conto è giustificato farlo».
Passano diciotto giorni, nel frattempo comincia l'Europeo e l'Italia pareggia le prime due partite. Si crea la stessa identica situazione di otto anni fa, eravamo a Euro 2004 in Portogallo e il 2-2 tra Svezia e Danimarca ci mandò a casa rendendo vano il successo contro la Bulgaria. Torna l'incubo "biscotto", stavolta tra Spagna e Croazia.
14 giugno, Poznan, post partita contro la Croazia.
Parla nuovamente Buffon, stavolta ai microfoni della Rai: «La qualificazione dipende tutto da noi, ho la certezza che se dovessimo vincere l'ultima contro l'Irlanda saremmo qualificati. E poi se Croazia-Spagna finisse proprio 2-2 si metterebbe a ridere tutta l'Europa». E ancora: «La Spagna ha dei giocatori con un pedigree che non permette l'etichetta di antisportività e di far ridere l'Europa».

Inutile sottolineare l'incoerenza delle due versioni di Buffon. Se proviamo a riassumerle in un unico pensiero viene fuori qualcosa della serie: è normale che due squadre possano accordarsi per un pareggio, possono farlo purché non danneggino me e la mia squadra. Ora non si tratta di fare i moralisti, questo lo lascio ad altri, però non si può neanche fare a meno di osservare la pochezza di questo ragionamento. Forse dal capitano della nazionale sarebbe lecito attendersi qualche uscita (verbale) migliore. E' evidente che oggi non siamo proprio nella condizione di fare prediche a nessuno, né in casa nostra, nè tantomeno ad altri. L'Italia invece farebbe bene a concentrare tutte le proprie energie sulla sua partita, quella contro l'Irlanda del Trap, nella quale ha un solo risultato a disposizione: la vittoria, possibilmente con molti gol di scarto.
Riguardo a Spagna-Croazia. La Spagna è campione di tutto e non penso avrà bisogno di ricorrere a certi mezzucci per accedere ai quarti di finale. Ma se alla fine Spagna e Croazia facessero davvero un bel biscotto, un 2-2 pirotecnico in grado di fare fuori i temuti azzurri dalla fase finale dell'Europeo, nessuno potrebbe comunque giocare a fare l'indignato. Il "biscottone" spagnolo-croato sarebbe forse una bella lezione, un contrappasso perfetto per chi solo diciotto giorni fa sosteneva che sono meglio due feriti che un morto. Strano mondo, il calcio.

lunedì 11 giugno 2012

Euro 2012: dove può arrivare la Juve?


No, non ho sbagliato il titolo. Nessun errore. Volevo proprio scrivere Juve e non Italia. E' una piccola provocazione ovviamente, ma ieri pomeriggio mentre guardavo la partita mi sono chiesto se stesse giocando ancora la Juve o se davvero era la partita d'esordio della nazionale italiana agli Europei 2012.
Di sicuro l'Italia scesa in campo ieri nel tardo pomeriggio contro la Spagna era una parente strettissima della Juventus di Conte. Non solo perché sei giocatori su undici erano bianconeri (Buffon, Chiellini, Bonucci, Pirlo, Marchisio, Giaccherini), ma perché il modo di giocare era lo stesso introdotto da Conte quest'anno: 3-5-2 se vogliamo usare i numeri. Un modo di giocare che Conte ha usato per esaltare le qualità dei propri centrocampisti centrali (Marchisio e Vidal) e per dare modo a Pirlo di esprimere al meglio le sue qualità eccezionali. Prandelli è stato intelligente e ha colto al volo l'opportunità che aveva davanti a sé, quella di accomodare il modello Juve sulla nazionale. Ecco quindi la scelta di far giocare Maggio a destra - già abituato a giocare con la difesa a tre nel Napoli - che si è calato nei panni di Lichsteiner. Chiarissima anche la scelta di far giocare Giaccherini sulla sinistra, un giocatore molto generoso che nella Juve ha ampiamente dimostrato di saper fare entrambe le fasi. Thiago Motta poi nel ruolo di Vidal, con meno vigore atletico del cileno, ma pronto a inserirsi spesso e volentieri in fase offensiva, come scritto nel copione bianconero. E le due punte, Cassano e Balotelli, chiamate - esattamente come avviene nella Juve - a sacrificarsi molto anche in fase difensiva; lavoro in cui ieri, soprattutto Balotelli, è un po' mancato. Non credo che da Balotelli potremo aspettarci qualcosa in più sul piano del sacrificio, ma la giocata improvvisa, geniale, quella sì ce la possiamo aspettare, ed è il vero motivo per cui Prandelli insiste e - credo - insisterà ancora con lui, nonostante il gol di Di Natale. L'unica vera novità introdotta dall'Italia ieri è rappresentata da De Rossi centrale difensivo. Una soluzione a cui Prandelli ha pensato dopo l'infortunio di Barzagli, e che è stata ispirata in origine da Luis Enrique, che aveva già provato De Rossi in quel ruolo nella Roma nel corso della passata stagione. E la soluzione ieri ha funzionato benissimo, perché De Rossi ha interpretato il ruolo di centrale difensivo con la testa del centrocampista. In fase di possesso infatti era proprio De Rossi a impostare per primo l'azione dell'Italia. Un regista difensivo insomma, dieci metri dietro al vero regista della squadra: Andrea Pirlo.
Quindi, dove potrà arrivare questa Juve che veste la maglia azzurra? E' difficile fare pronostici, soprattutto in manifestazioni brevi come l'Europeo, in cui ci sono molte squadre più o meno sullo stesso livello. Quello che possiamo dire è che l'Italia ha un sistema di gioco molto buono, e già questo è un ottimo punto di partenza. Come si diceva tempo fa (vedi qui) il grande lavoro fatto dalla Juventus nell'ultimo anno ha portato benefici a tutto il calcio italiano, e la partita di ieri sta lì a dimostrarcelo. La Figc ringrazi e passi oltre, a testa bassa.

domenica 3 giugno 2012

Il ritorno di Zdeněk Zeman, il rivoluzionario


Alla fine ce l'ha fatta, Zdeněk Zeman. La grande occasione l'ha avuta ancora: tredici anni dopo sarà ancora lui ad allenare la Roma. L'ufficialità dovrebbe arrivare lunedì, ma ormai la cosa è fatta. Tornerà dunque sulla panchina giallorossa Zeman, dopo tanto tempo e molte altre avventure: Fenerbahçe, Napoli, Salernitana, Avellino, Lecce, Brescia, ancora Lecce, Stella Rossa, Foggia e Pescara. «Ho pensato che, non essendo più un ragazzino, mi restavano due o tre anni per tornare a una grande squadra: questa è la mia ultima chance». Il ritorno di Zeman è stimolante per tutti, per chi lo ama e per chi lo odia. Sì perché il boemo è un personaggio che divide, prendere o lasciare, con lui non esistono mezzi termini. Tutti adesso sono curiosi di rivederlo nel grande calcio, di capire cosa riuscirà a fare su una panchina importante. Tredici anni dopo l'ultima volta.
Eppure il modo in cui la stampa ha accolto il ritorno di Zeman è abbastanza stucchevole. Già si sono alzati gli inni trionfali, quando la Roma non ha ancora ufficializzato il suo arrivo. Zeman, dicono molti giornalisti, ha già vinto perché è stato capace di rianimare l'ambiente romano, triste e depresso dopo l'ultima, deludentissima, stagione. Nessun allenatore oggi in Italia gode della simpatia popolare e mediatica di cui gode Zdeněk Zeman. In effetti la piazza romana appare entusiasta per il grande ritorno del boemo, ma questo era ampiamente prevedibile. I tifosi sono per definizione un popolo di sognatori e il gioco di Zeman è ideale per innescare la fantasia della gente. Ma dal punto di vista dei risultati, la carriera del boemo parla chiaro: in trent'anni gli unici trofei alzati sono stati un campionato di serie C2 a Licata, e due campionati di Serie B, uno a Foggia e uno a Pescara quest'anno. Pochino per uno che gode della sua fama. Ma proprio qui sta la rivoluzione di Zeman, capace di costruire un vero e proprio marchio (Zemanlandia, ricordate?) non sui risultati ma sulla proposta di gioco. Proposta di gioco che si è dimostrata essere perdente o, se preferite, non così vincente come si vuol far credere. Ma com'è possibile che sia avvenuto questo, oltretutto in Italia, un paese in cui, calcisticamente parlando, i risultati sono tutto? Le ragioni non vanno cercate nell'allenatore, ma nel personaggio Zeman.
Quello che nel 1998 lanciò accuse pesantissime al mondo del calcio italiano, sostenendo che le società facessero un uso eccessivo di farmaci. Quello che usò come esempi per dare fondamento alle proprie argomentazioni i calciatori della Juventus Alessandro Del Piero e Gianluca Vialli. Tutte accuse che la giustizia ha dimostrato essere infondate - e le sentenze stanno lì a dimostrarlo - ma che molti hanno accolto con esaltazione, vedendovi qualcosa che si avvicinava a un tentativo di purificare un mondo considerato marcio, il calcio. Insinuazioni e sparate che sono state determinanti nel creare e alimentare quel marchio che va sotto il nome di Zemanlandia appunto: un'isola felice dove, si dice, il calcio è genuino, sano e spettacolare. Non vincente, quello no, ma che importa? Dopotutto si parla di Zdeněk Zeman, il rivoluzionario.