domenica 3 giugno 2012

Il ritorno di Zdeněk Zeman, il rivoluzionario


Alla fine ce l'ha fatta, Zdeněk Zeman. La grande occasione l'ha avuta ancora: tredici anni dopo sarà ancora lui ad allenare la Roma. L'ufficialità dovrebbe arrivare lunedì, ma ormai la cosa è fatta. Tornerà dunque sulla panchina giallorossa Zeman, dopo tanto tempo e molte altre avventure: Fenerbahçe, Napoli, Salernitana, Avellino, Lecce, Brescia, ancora Lecce, Stella Rossa, Foggia e Pescara. «Ho pensato che, non essendo più un ragazzino, mi restavano due o tre anni per tornare a una grande squadra: questa è la mia ultima chance». Il ritorno di Zeman è stimolante per tutti, per chi lo ama e per chi lo odia. Sì perché il boemo è un personaggio che divide, prendere o lasciare, con lui non esistono mezzi termini. Tutti adesso sono curiosi di rivederlo nel grande calcio, di capire cosa riuscirà a fare su una panchina importante. Tredici anni dopo l'ultima volta.
Eppure il modo in cui la stampa ha accolto il ritorno di Zeman è abbastanza stucchevole. Già si sono alzati gli inni trionfali, quando la Roma non ha ancora ufficializzato il suo arrivo. Zeman, dicono molti giornalisti, ha già vinto perché è stato capace di rianimare l'ambiente romano, triste e depresso dopo l'ultima, deludentissima, stagione. Nessun allenatore oggi in Italia gode della simpatia popolare e mediatica di cui gode Zdeněk Zeman. In effetti la piazza romana appare entusiasta per il grande ritorno del boemo, ma questo era ampiamente prevedibile. I tifosi sono per definizione un popolo di sognatori e il gioco di Zeman è ideale per innescare la fantasia della gente. Ma dal punto di vista dei risultati, la carriera del boemo parla chiaro: in trent'anni gli unici trofei alzati sono stati un campionato di serie C2 a Licata, e due campionati di Serie B, uno a Foggia e uno a Pescara quest'anno. Pochino per uno che gode della sua fama. Ma proprio qui sta la rivoluzione di Zeman, capace di costruire un vero e proprio marchio (Zemanlandia, ricordate?) non sui risultati ma sulla proposta di gioco. Proposta di gioco che si è dimostrata essere perdente o, se preferite, non così vincente come si vuol far credere. Ma com'è possibile che sia avvenuto questo, oltretutto in Italia, un paese in cui, calcisticamente parlando, i risultati sono tutto? Le ragioni non vanno cercate nell'allenatore, ma nel personaggio Zeman.
Quello che nel 1998 lanciò accuse pesantissime al mondo del calcio italiano, sostenendo che le società facessero un uso eccessivo di farmaci. Quello che usò come esempi per dare fondamento alle proprie argomentazioni i calciatori della Juventus Alessandro Del Piero e Gianluca Vialli. Tutte accuse che la giustizia ha dimostrato essere infondate - e le sentenze stanno lì a dimostrarlo - ma che molti hanno accolto con esaltazione, vedendovi qualcosa che si avvicinava a un tentativo di purificare un mondo considerato marcio, il calcio. Insinuazioni e sparate che sono state determinanti nel creare e alimentare quel marchio che va sotto il nome di Zemanlandia appunto: un'isola felice dove, si dice, il calcio è genuino, sano e spettacolare. Non vincente, quello no, ma che importa? Dopotutto si parla di Zdeněk Zeman, il rivoluzionario.

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